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134 malmantile racquistato

20.
Mutar devo mestier, se avvien ch’io muoia,
Di soldato cioè nel ciabattino;
Perocchè mi convien tirar le cuoia1,
Per gir con esse a rincalzare il pino.
Un’altra cosa ancor mi dà gran noia:
Ed è, che sotto son come un cammino;
E che innanzi a Minòs e agli altri giudici
Rappresentar mi debba co’ piè sudici.
21.
Ma ecco omai l’ora fatale è giunta,
Ch’io lasci il mio terrestre cordovano2;
Già già la Morte corre, che par unta,
Verso di me colla gran falce in mano;
Spinge ella il ferro nel bel sen di punta3,
Ond’io mancar mi sento a mano a mano;
Però lo spirto e il corpo in un fardello
Tiro fuor della vita e vo all’avello.
22.
Ormai di vita son uscito, e pure
Non trovo al mio penar quiete e conforto.
O cielo, o mondo, o Giove, o creature,
Dite, se udiste mai così gran torto?
Se Morte è fin di tutte le sciagure,
Come allupar4 mi sento, ancorchè morto?
E come, dove ognuno esce di guai,
Mi s’aguzza il mulino piucchè mai5?

  1. St. 20. Tirar le cuoia. ecc. Morire, ed esser sotterrato sotto a un pino; per un albero qualunque. (Nota transclusa da pagina 201)
  2. St. 21. Cordovano è una sorta di pelle. (Nota transclusa da pagina 201)
  3. Spinge ecc. Questo e il primo verso della Stanza sono del Tasso, là dove ci descrive la pietosa morte di Clorinda. (Nota transclusa da pagina 201)
  4. St. 22. Allupare. Avere una fame da lupi. (Nota transclusa da pagina 201)
  5. Mi s'aguzza ecc. Mi cresce la fame, quasi mi si aguzzassero le macini del cibo, i denti. (Nota transclusa da pagina 201)