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sesto cantare 213

59.
Si vede un nudo, che si vaglia1 e duole,
Perocchè molta gente egli ha alle spalle,
Come sarebbe a dir tonchi e tignuole,
Punteruoli, moscion, tarli e farfalle;
Talchè pe’ morsi egli è tutto cocciuole,
E addosso ha sbrani e buche come valle;
Ed è poi fiagellato per ristoro
Con un zimbello2 pien di scudi d’oro.
60.
Quei, dice Nepo, è il re degli usurai,
Che pel guadagno scorticò il pidocchio3
Un servizio ad alcun non fece mai,
Se non col pegno, e dandoli lo scrocchio4;
Il gran se gli marcì dentro a’ granai,
Chè nol vendea, se non valea un occhio;
Così fece del vino, ed or per questo
Gl’intarla il dosso e da’ suoi soldi5 è pesto.
61.
Un altro ad un balcon balla e corvetta,
Chè un diavol colla sferza a cento corde,
Che un grand’occhio di bue ciascuna ha in vetta,
Prima gli dà cento picchiate sorde;
Con una spinta a basso poi lo getta
In cert’acque bituminose e lorde,
Che n’esce poi, ch’io ne disgrado gli orci6
O peggio d’un norcin, mula7 de’ porci.

  1. St. 59. Si vaglia. Si dimena. (Nota transclusa da pagina 280)
  2. Zimbello. Sacchetto. Vedi c. I, 59. (Nota transclusa da pagina 280)
  3. St. 60. Scorticò il pidocchio, per venderne la pelle. (Nota transclusa da pagina 280)
  4. Scrocchio. La merce che dà l’usuraio invece di danaro. (Nota transclusa da pagina 280)
  5. I suoi soldi. Quel sacchetto pien di scudi d’oro. (Nota transclusa da pagina 280)
  6. St. 61. Orci da olio, che son sempre sudici. (Nota transclusa da pagina 281)
  7. Mula, perché porta sulle spalle quegli animali morti. (Nota transclusa da pagina 281)