53. Al che tra molti commodi s’arroge
Quel ber del vin, ch’è troppo cosa ghiotta.
Qua1 birre, qua salcraut2, qua cervoge;
A casa mia dicea, del vin s’imbotta;
Però finianla: Cedant arma togæ:
Io non la voglio, in quanto a me, più cotta3:
Guerreggi pur chi vuol, s’ammazzi ognuno,
Ch’io per me non ho stizza con nessuno. 54. Così rinunzia l’armi a Giove, e stima
D’essere il più liet’uom che calchi terra:
Pensa stato mutar cangiando clima;
Ma trovata l’Italia tutta in guerra,
È forzato ferrarsi più che prima:
«Ecco il giudizio uman come spess’erra!»4
Crede tornar tra genti quiete e gaie,
E fugge l’acqua sotto le grondaie. 55. Tra Don Panfilo e lui uno squadrone
Dal Pontadera5 aspettano e da Vico,
Che parte per la via vanno a Vignone6,
E parte fanno un sonno a piè d’un fico.
Costoro empion di rena un lor soffione;
E quando sono a fronte all’inimico,
Gliela schizzan nel viso; ed in quel mentre
Gli piglian gli altri la misura7 al ventre.
↑St. 50. Qua. In Germania. (Nota transclusa da pagina 86)
↑Salcraut. Cavol salato. (Nota transclusa da pagina 86)
↑Non la voglio più cotta. Mi basta così. Chi va all’osteria ed ha, fame, dice all’oste, per isbrigarsi: portala cotta com’è. (Nota transclusa da pagina 86)
↑St. 50. «Ecco» ecc. Ariosto, I, 7 (Nota transclusa da pagina 86)
↑St. 55. Pontadera, Vico, terre vicino a Pisa. (Nota transclusa da pagina 87)
↑Vignone o Vingone è un fiumicello tra Firenze e la Lastra: ma la frase qui usata significa anche: Andare nelle vigne altrui a côrre l’uva. (Nota transclusa da pagina 87)
↑la misura. La mira. (Nota transclusa da pagina 87)