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164 discorso storico

de’ quali è ripetuta altrettante volte l’identica formola: tutte savie e prudenti.

Ma dove ci ha condotti il Giannone? Tutto questo non ha che fare con l’argomento; il quale, grazie al cielo, non richiede nemmeno che s’esamini l’umanità, la giustizia, la prudenza civile delle leggi longobardiche. Basta osservare che non erano fatte che per i Longobardi.

E similmente, quando nella storia de’ conquistatori si trovano aneddoti di generosità, di fedeltà, di temperanza; prima di pianger di tenerezza, prima di batter le mani, bisogna esaminare se queste azioni e abitudini virtuose fossero effetti d’un sentimento pio del dovere, o se nascessero da spirito di corporazione, da una disposizione d’animo, non dirò ipocrita perchè non mirava a ingannare (quelli tra i posteri. che si sono ingannati, fu perchè lo vollero), ma neppur virtuosa nel senso preciso che si dovrebbe sempre dare a questa parola.

Non si deve passar sotto silenzio che quell’opinione così favorevole ai Longobardi non fu ricevuta da tutti gli scrittori moderni. Ma nessuno ch’io sappia, la combattè di proposito e con l’intenzione di stabilirne una più fondata, e che abbracciasse davvero tutto l’argomento. Il Tiraboschi, senza impugnare direttamente il giudizio del Muratori e del Denina, ne parla però con una maraviglia, e con una diffidenza molto ragionevole. Ma, avendo per suo principale oggetto la letteratura, e restringendo anche questa in confini veramente troppo angusti 1, non potè nè volle estendersi molto su questo argomento. Pure i fatti che cita, e le riflessioni che ci fa sopra, parranno, credo, a chiunque le legga, più che bastanti a distruggere il giudizio che una singolare predilezione per questi barbari, come dice benissimo, dettò al buon Muratori.

Anche l’illustre Maffei, nel libro X della Storia di Verona, giudicò i Longobardi con una severità molto più ragionata di quel che fossero l’acclamazioni de’ loro panegiristi; ma non si propose nemmen lui di trattare tutta la questione. Contuttociò, quella parte d’opinione che se n’era fatta, e che ha espressa, deriva da osservazioni tutt’altro che frettolose e volgari. Non ha presa la questione com’era posta malamente dagli altri, ma l’ha rifatta sulle cose stesse; ha indicato de’ princìpi ai quali, per esser riconosciuti princìpi importanti, non manca forse altro che un’applicazione più circostanziata; non ha supposta la strana mescolanza dei due popoli; e fu, ch’io sappia, il primo che osservasse alcuni effetti generali e permanenti della dominazione de’ Longobardi sulla popolazione posseduta da essi: in quella dominazione e in quelle leggi ha cercato l’origine d’abitudini e d’opinioni, che hanno regnato per secoli, che regnavano ancora al suo tempo. È una maniera d’osservar la storia, che non è divenuta comune dopo il Maffei; ma che prima di lui era a un dipresso sconosciuta.

Concludiamo che, se i Longobardi furono davvero quell’anime buone, sarà stato per altre ragioni, che per quelle addotte da’ loro panegiristi.

  1. «Ma ora mi convien fare una riflessione diligente sullo stato in cui trovossi l’Italia a questi tempi, non già pei diversi dominj, che si vennero formando, essendo essa allora divisa in più stati, e soggetta a diversi signori, che appellavansi duchi, ma pur dipendevano in qualche modo dal re di tutta la nazione, che risiedeva in Pavia, nè pel diritto feudale che probabilmente allora cominciò ad usarsi, come già abbiamo osservato; le quali cose non poterono avere alcuna influenza sulla letteratura, ma bensì, ecc.» Stor. della letterat.» tom. III , lib. 2, c. 1.