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tessuti quando si è vecchi onde il savio motto degli antichi che «la vecchiaia è morbo per se stessa».

Marbrè: voce dei salumai milanesi, foggiata con l’intento di accostarsi all’ideale di una parola francese, che poi non c’è in quella lingua in tale senso: marmorizzato: e si dice di carni di varie specie che messe e cucinate in istampo, imitano lo venature del marmo. Cfr. Notes, Voltaire, Compteur.

Marca (alta): fuor del comune, raro, alla moda, appartenente all’aristocrazia della cosa o del ceto di cui si tratta, è brutta locuzione neologica provenutaci dal francese: vin de marque, personnage de marque = en vue, à la mode, che va per la maggiore.

Marca di fabbrica: segno esteriore che un fabbricante impone a’ suoi prodotti per distinguerli da quelli consimili di altri fabbricanti. Fr. marque de fabrique. Dicesi anche spesso in senso faceto, figuratamente, per impronta, suggello, carattere. V. Etichetta.

Marcare: per segnare o notare (con segni), porre mente, dare rilievo o scolpire (un suono), proviene dal fr. marquer, e perciò è ripreso dai puristi. Mi pare gallicismo comunemente evitato. V. Marcato.

Marcato: per scolpito, rilevato, spiccato è traslato di conio francese, marqué. In buon italiano marcato vale soltanto bollato, segnato cioè con la marca o marchio. Così dicasi, di marcare e di marcamente.

Marchesana: questa signorile e antica parola in luogo di marchesa, titolo nobilesco, è dal Petrocchi confinata tra le voci morte. Piace ad alcuni moderni, specie fra’ seguaci della scuola estetica, richiamarla all’onore dell’uso.

               e quando ne le sale
          le marchesane udiano Isotta o i fieri
          giovani Orlando.

Marchesa Travasa: press’a poco come Donna Fabia (V. (questa parola). La marchesa Paola Travasa

Vuna di primm damazz de Lombardia,

è quella famosissima matrona che possedeva la non meno famosa cagna maltesa

          tutta pêl, tutta goss, e tutta lard,
          che in cà Travasa, dopo la Marchesa,
          l’eva la bestia de maggior riguard.

Essa, la marchesa con la sua cagna, vive nell’immortale poesia sociale del Porta, La nomina del capellan, e qui a Milano il nome ricorre con valore antonomastico.

Marchese: per mestruo, V. Appendice.

Marchese Colombi (il): V. Colombi. Qui vuolsi aggiungere che la popolarità di questo nome è specialmente dovuta alla irresolutezza stupida di questo personaggio, consegnata nel verso:

tra il sì e il no, son di parer contrario.

Marcia e marciare: per cammino e camminare, non si possono nemmeno più chiamare neologismi, essendo da grandissimo tempo penetrati nella lingua italiana. Marcia è alquanto posteriore. Voci accolte anche da eccellenti scrittori. Così il Carducci nel Ça ira dice:

Marciate, della patria incliti figli.

Chi però volesse aver cura della purità del linguaggio farebbe bene a non usare queste voci se non in senso militare.

Marciapiede: parola francese, marchepied, che il Fanfani annota fra le voci corrotte, ma sdegnosamente ammette avere avuto da tempo cittadinanza italiana come fisciù, canapé, benchè affermi doversi usare dai ben parlanti il verbo andare sostantivato, pl. andari = viottolo, sentiero. Ma chi l’intenderebbe? Avvertasi però che in fr. marchepied vale più specialmente predella, montatoio, sgabello, e che per esprimere quella parte della strada che è rialzata per maggior comodo dei pedoni, dicesi trottoir, voce che spunta talora anche da noi. Povero Pietro Fanfani! Dopo avere accolto marciapiede a gran fatica, ecco appare trottoir.

Marcio in Danimarca (c’è del): V. Putrido.

Marcita: milanese marscida, prato allagato con un volo d’acqua per averne l’erba più rigogliosa e a più tagli. Caratteristica del paesaggio e della campagna della bassa Lombardia.