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una costituzione, un’amministrazione propria, un’armata, un tesoro, quell’insieme, in una parola, che costituisce uno stato separato. La vista, all’incontro dei dipartimenti francesi lacerava il cuore d’ogni Italiano. Al solo pensare che l’antica signora del mondo era governata da un prefetto francese, che la sede vera della nostra lingua non era più che una provincia di Francia, doveva destarsi in ogni animo benfatto lo sdegno nazionale. Io sentiva veramente stringermi il cuore ogni volta che mi accadeva di attraversare il ducato di Parma, la Toscana, il Genovesato».

Animato, quindi, dal desiderio della indipendenza e della unità d’Italia che era, contemporaneamente, il desiderio da cui erano animati tutti i più illustri Italiani di quell’età: il Foscolo, il Cicognara, il Botta, il Pellico, il Santarosa, il Confalonieri, il Manzoni, il Romagnosi, il Rasori, il Gioia, il Giordani, il Costa, il Benedetti, il Niccolini, il Rossetti, i tre Pepe, il Colletta, il Troya e cento e mille altri, Pellegrino Rossi, non solo aderì al tentativo murattiano per la espulsione degli Austriaci dalla penisola, ma lo favorì; accettò l’ufficio di commissario generale del re Gioacchino nelle provincie dal Po al Tronto e pubblicò il 4 aprile in Bologna il famoso proclama in cui, con caldissime parole, si eccitavano gl’Italiani alla guerra d’indipendenza.

Del resto in quell’ufficio egli non rimase che pochi giorni, perchè l’esercito napoletano, entrato in Bologna il 2 di aprile del 1815, dovette, il 16 dello stesso mese, dopo avere riportato effimeri vantaggi in piccoli combattimenti sul Panaro, sgomberare la città felsinea, incalzato dall’esercito austriaco, dal quale poi fu sconfitto a Tolentino il 2 del successivo maggio.

Il Rossi, per tutti questi fatti evidentemente ribelle all’autorità del Pontefice, fu costretto a seguire nella sua ritirata l’esercito murattiano e, caduto Gioacchino, da Napoli si trasferì a Marsiglia e di qui a Genthod, presso l’amico suo barone Crud. Di là mandò fuori la sua difesa, con la speranza, forse, di riottenere la sua cattedra. Ma, fallitogli questo tentativo, dopo una breve sosta fatta a Milano, riparò a Londra, dove si trattenne circa tre mesi e donde tornò in Svizzera, deliberato di fissare la sua dimora a Ginevra, dove, nel suo precedente soggiorno nel 1813, aveva, presso madama De Staël, contratto parecchie amicizie.