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zioni, e quell’acre rimprovero onde il severo Cantor dei Sepolcri la giusta sua bile un giorno così sfogava:

Te nudrice alle Muse, ospite e Dea,
Le barbariche genti che ti han doma
Nomavan tutte; e questo a noi pur fea
Lieve la varia antiqua infame soma.

Che se i tuoi vizj e gli anni e sorte rea
Ti han morto il senno ed il valor di Roma,
In te viveva il gran dir che avvolgea
Regali allori alla servil tua chioma.

Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste
Reliquie estreme di cotanto impero.
Anzi il toscano tuo parlar celeste

Ognor più stempra nel sermon straniero,
Onde più che di tua divisa veste
Sia il vincitor di tua barbarie altero.

Orsù dunque, la grave armonia di Virgilio, la splendida magnificenza di Tullio, la facondia lattea di Livio, l’immortale velocità di Sallustio, la nitidezza di Cesare, la facilità maravigliosa di Ovidio, la natia lepidezza di Fedro, la candida perspicuità di Cornelio Nipote, il nerbo di Orazio, la soavità di Catullo, lo spirito di Properzio: in somma la grandezza, la forza, l’acume, l’eleganza de’ Latini Scrittori ci faranno ricchi di nobili concetti e di pellegrine forme di dire. Oltre a che leggendo i Latini Scrittori, non già di un popolo (scrivea Anneo Floro) ma dell’uman genere si apprendono i fatti; così distesamente portò il Romano impero