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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/161

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     Io gli diedi la lettra ch’avea a canto,
E la cagion del mio venir gli esposi,
Di riferire a quel Collegio santo.
     Poi senza la licenza, io mi disposi
Che non volser con me venir a l’orto
Quei poeti di lei forse gelosi.
     Era questo un giardino, ove a diparto
Solea gir il Petrarca, uscendo fuori
Per la lumaca con l’abito corto,
     E dove l’aura con soavi odori
Al naso benemerito di lei
Giva facendo il dì mille favori.
     Qui l’erbe, i frutti, i fiori Indi, e Sabei
S’udian cantar d’Amor leggiadri versi
Al passar di quei doti Semidei.
     Bianchi, verdi, vermigli, azzurri, e Persi
Eran pinti i calzon de l’ortolano
Con marzocchi dal ver molti diversi.
     Costui tosto rizzossi, e poi pian piano
Tornò co’l capo chino, e sonnacchioso,
Donde s’era per me levato in vano.
     Giovane, fresco, sodo, e muscoloso
Nè difetto altro avea, fuor che sputava
Spesso un umor, che tien del catarroso.
     E mi fu detto poi da un fior di fava,
Che ’l suo per tutto entrar senza capello
Sì fatta infermità gli cagionava.