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della ragion di stato - iii | 97 |
publica, o cittá, ben ordinata e ben ornata di virtú e buone
leggi. Sequestrisi l’ambizione, tolgasi la cupidigia, si bandisca
la superbia e il lusso distruttore delle ricchezze, e l’altre bruttissime bestie, che quelle stabili e ferme per lungo tempo si
conserveranno. Ma se avessimo a trattar solo con uomini intendenti e saggi, basterebbeci dire, che la sola virtú è quella che
conserva e accresce la republica, e che solo i vizi sono quelli,
che la distruggono; ma perché i miei ragionamenti sono indirizzati a tutti, e non meno a’ popolari che a’ potenti, parmi
conveniente fargli in maniera, che possano servire non solo a’
dotti e savi, ma ancora a’ popolari.
Né ci basta il dire, che la giustizia e l’uguaglianza sono due virtú, che conservano la compagnia civile, e senza le quali niuna republica o cittá può al lungo conservare e la pace e la durevolezza sua: se non vi s’aggiungono le cose, con le quali ciò si possa ottenere, e se non si additano i particolari, che si hanno da osservare e da fuggire.
Disse il medesimo Aristotele, nel medesimo luogo, fra tutte le cose, che sogliono distruggere la republica e indurre mutazioni di dominio, esser la piú principale il non aver riguardo all’equitá, o vogliam dire giustizia, della distribuzione degli onori, dignitá e magistrati: perché stimandosi molti pari d’etá e di meriti, e vedendo alcuni forsi anco inferiori onorati di dignitá, ed essi per lo piú privati, avendo gli spirti alti, e mettendosi avanti gli occhi i suoi meriti forsi piú grandi appresso di loro, non potendosi inalzare dove vorrebbero; sdegnati cercano occasione, con mutar forma, d’avanzarsi. Esempio ne la republica de’ lacedemoni ci sia Lisandro: il quale non cedendo ad alcuno della republica di gloria militare, perché nondimeno i re, che erano due, e questi di certe famiglie, vedeva esser piú onorati da tutti, cominciò a machinare, o di levare dalla republica i re, o di fare quelle dignitá communi ancor ad altre famiglie; ma conosciuto questo suo pensiere, e convinto dell’unione fatta co’ persiani, pagò la perfidia con la vita, come racconta e Plutarco nella sua vita e Diodoro Siculo nel libro
duodecimo. In tal caso o l’ostracismo è il vero rimedio, o
Politici e moralisti del Seicento. | 7 |