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canto decimo. 191

44 E non poteva ancor romper la calca,
     Che tuttavolta si facea più stretta;
     Pur sempre innanzi a suo poter cavalca,
     E ’n qua e ’n là come un leon si getta:
     E molti colla spada ne difalca
     Della turba bestiale e maladetta,
     E tristo a quel ch’aspettava Altachiara,21
     Chè gli facea costar la vita cara.

45 Morgante in mezzo stava dello stuolo,
     E col battaglio facea gran fracasso;
     Meridiana sentiva gran duolo,
     Chè ’l corpo femminil già era lasso:
     Nè fuggir può, se non si lieva a volo,
     Perchè non v’era onde fuggirsi il passo;
     Ma pur Morgante spesso la conforta,
     E molta gente avea dintorno morta.

46 Ed era tutto da’ dardi forato,
     E lance, e spiedi,22 e saette, e spuntoni;23
     E tutto quanto il corpo insanguinato;
     Chè le ferite parevan cannoni,24
     Che gettan sempre fuor da ogni lato:
     Avea nel capo cento verrettoni;24a
     Ma tanti intorno avea fatti morire,
     Che già del cerchio non poteva uscire.

47 L’un sopra l’altro morto era caduto,
     E gli uomini e’ cavalli attraversati,
     Tal che miracol sarebbe tenuto,
     Quanti furon poi morti annumerati:
     Ave’ cinque ore o più già combattuto;
     Or pensi ognun quanti e’ n’abbi schiacciati,
     Che non potea più aggiugner colle mani,
     Tanto discosto gli erano i Pagani.

48 Meridiana assai s’era difesa,
     Ed or da’ dardi attendeva a schermirsi;
     Avea la faccia come un fuoco accesa,
     Nè potea più collo scudo coprirsi,
     Tanto era stanca, perchè troppo pesa,
     E non poteva del cerchio fuggirsi,
     E così afflitta, e sventurata a piede
     Morir vuol prima, che chiamar merzede.