137 Portin certi uccellacci un sasso in bocca,
Come quelle oche al monte Taureo,
Per non gracchiar, chè poi il falcon le tocca,
Ch’io gli farò girar come paleo;
Ed ho sempre la sferza in su la scocca,
Perch’io fu’ prima che gigante reo:
Non morda13 ignun chi ha zanne, non che denti,
Dice il proverbio; io non dico altrimenti.
138 Io non domando grillanda d’alloro
Di che i Greci e’ Latin chieggon corona;
Io non chieggo altra penna, altro stil d’oro,
A cantar d’Aganippe e d’Elicona;
Io me ne vo pe’ boschi puro e soro
Con la mia zampognetta che pur suona,
E basta a me trovar Tirsi e Dameta:
Ch’io non son buon pastor, non che poeta.
139 Anzi non son prosuntuoso tanto,
Quanto quel folle antico citarista,
A cui tolse già Apollo il vivo ammanto;
Nè tanto satir, quant’io paio in vista:
Altri verrà con altro stile e canto,
Con miglior cetra, e più sovrano artista;
Io mi starò tra faggi e tra bifulci,
Che non disprezzin le muse del Pulci.
140 Io me n’andrò con la barchetta mia,
Quanto l’acqua comporta un piccol legno;
E ciò ch’io penso con la fantasia,
Di piacere ad ognuno è 'l mio disegno:
Convien che varie cose al mondo sia,
Come son varii volti e vario ingegno,
E piace all’uno il bianco, all’altro il perso,
O diverse materie in prosa o in verso.
141 Forse coloro ancor che leggeranno,
Di questa tanto piccola favilla
La mente con poca esca accenderanno
De’ monti o di Parnaso o di Sibilla;
E de’ miei fior come ape piglieranno
I dotti, s’alcun dolce ne distilla;
Il resto a molti pur darà diletto,
E lo autore ancor fia benedetto.