Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/219

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arte poetica. poemetto, ecc. 163

220Per la brina invernal, per lo gel denso
Terrebbe il mondo sulle orrende spalle.

    Cesare, allor che a queste rupi giunse,
E vi accampò l’esercito robusto,
Dall’altissimo giogo intorno intorno
225Sull’italico suol girò lo sguardo
E alzate al cielo ambe le mani disse:

    O Giove onnipotente, o di Saturno
Terra, che un dì dell’armeggiar, de’ miei
Trionfi adorna e gloriosa fosti,
230Io vi protesto che tra’ queste schiere
Contra mia voglia io reco Marte, e l’armi
Contra mia voglia impugno. Onta mi sforza.
Me la patria esigliò, mentre di sangue
Impinguo il Ren, mentre dall’Alpi i Galli
235Avidi ancor del Campidoglio132 io scaccio,
Ogni vittoria a me l’esilio acquista:
E incominciar dalle tedesche vene,
E i sessanta trionfi or mi son colpa.
Eppur color, cui la mia gloria è peso,
240Quei, che la guerra per lo premio han cara,
Roma, oh viltà! matrigna a me, protegge.
Ma pentirassi, io spero, e vinto ancora,
Vinto non rimarrei senza vendetta.133
Itene adunque o vincitori ardenti,
245Ite, o compagni miei: co’ vostri acciari
Difendete la lite: ivi ci chiama
Un delitto comune, ivi ci aspetta
Un comune castigo. A noi fa d’uopo
(Non a me sol, poich’io solo non vinsi)
250In grazia ricondurci. Or se una pena
Sovrasta a que’ trofei, se il vincer nostro
Gli scherni meritò, scaglisi il dado
Come fortuna vuol. Pugnate, ardite;