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172 CAPO VIII.

probabilmente credere, che non poco premesse anche i popoli Epiroti, o altrimenti Pelasghi, che abitavano là intorno, già fuggiaschi di Tessaglia dopo il diluvio di Deucalione. E forse questi tremendi avvenimenti, che a gran pena si scorgono al barlume delle prime tradizioni, diedero impulso o cagione al passaggio di quelle bande di venturieri Pelasghi, che secondo il racconto di Ellanico, traversando il mare furon portate in balìa del vento a Spina, tra le bocche impaludate del Po, d’onde appresso, varcati i monti, penetrarono nell’interno, e vi si travagliarono grandemente contrastando ora agli uni, ora agli altri popoli paesani1. Il che per avventura successe intorno la medesima epoca, in cui i Liburni, ed altri Illirici, andavano infestando con rubamenti e correrie la spiaggia del Piceno e le prossime maremme. Dimoranti insieme in sulla costa posta dirimpetto all’Italia, dove tuttora stanziavano fermi al tempo di Filippo il Macedone, epoca in cui probabilissimamente scriveva Scilace2, s’erano essi talmente abituati al mare, che in ogni età successiva attesero per proprio e nazional mestiere all’arte dei corsali3. I Liburni stessi abi-

    trano vengono dal commercio dei loro antenati cogli Slavi, che passarono con altri barbari ad occupare l’Illirico nel sesto e settimo secolo della nostra era. loc. cit. p. 246.

  1. Vedi sopra p. 85.
  2. Peripl. p. 7.
  3. Illyrii, Liburnique, gentes ferae, et magna ex parte latrociniis maritimis infames. Liv. x. 2.