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318 CAPO XXIX.

mone antico.1 Suoni barbarici eransi questi alle purgate orecchie dei Greci2; e non di meno suoni o pronunzie sì tanto usuali alle genti latine, che in Roma stessa s’intendevano da tutti le popolari commedie osche. Adducono in oltre i grammatici non pochi vocaboli sabini ed etruschi, i quali sono senz’alterazione nella lingua latina, o facilmente si riducono a quella3: buon numero provenivano direttamente dall’etrusco, sì perchè la nazione dei Toschi s’estendeva insino al Tevere, sì perchè ella diede ai Romani usi religiosi e civili, e perciò i vocaboli correlativi: senza che dice apertamente Agrezio, quanto l’etrusco influisse dapprima nella latinità, sia negli accenti, sia in altre tali specialità dell’idioma4. Or noi poniamo per certo che dagli antichi dialetti italici cominciasse a pullulare la lingua dei conquistatori romani, come tutte le favelle nascenti rozza, indisciplinata mutabile ed incerta: nè avvenire poteva altrimenti, dacchè Roma, città novella senza propria stirpe, fu in principio un aggregato di Latini, Etruschi e Sabini, cui poscia s’u-

  1. Oscis verbis usi sunt veteres. Macrob. Sat. vi. 4. Nella tavola di Banzia ridondante di voci osche si ha prvhipid (lin. 25.): cioè pruphpher o pruffer in osco: si noti l’affinità del suono colla nostra voce profferire.
  2. Vedi Tom. i. p. 186.
  3. Varro l. l. iv. 10., vi. 3. et al.
  4. Apud Latium unde Latinitas orta est, major populus et magis egregiis artibus pollens Tusci fuerunt; qui quidem natura linguae suae S. litteram raro exprimunt: haec res facit habere liquidam. pag. 2269 ed. Putsch.