Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/180

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e leoni.1 Egli non mangiava mai nessun pesce in vicinanza il Mare, ma solo allorquando trovavasene sommamente lontano, e poscia n’invitava a pranzo i coltivatori delle circonvicine contrade. I suoi cuochi erano così abili, e destri che da ogni specie di carni, pesci, volatili, legumi, frutte, dolciumi, e latte ricavar sapevano tutte le sorte di vivande, con cui la tavola Imperiale era usualmente imbandita2. I di lui conviti erano talvolta composti di ventidue portate, ognuna delle quali comprendeva una gran moltitudine di vivande3. Una volta egli presentò a’ suoi commensali 600 teste di Struzzi, ed in altra circostanza promesse inclusive di dare una Fenice7, o di appagare invece di essa le ardenti aspettative dei suoi amici con mille libbre d’oro. Siccome la rarità, e la carezza dei cibi formavano sempre il loro maggior pregio, e la più alta riputazione presso i Romani parasiti, così la stima, che riscuotevano le diverse leccornie, andava per conseguente soggetta a continui cangiamenti; poiché i più gustosi cibi perdevano tutto il lor credito subito che essi incominciavano a divenir comuni, e a buon prezzo. Questo cambiamento di riputazione, e di pregio lo provarono singolarmente i pesci. Anticamente,

  1. Lampr. in Heliog. c. 20, 21.
  2. Ib. 27, 32.
  3. C. 30.