Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/387

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trando nella patria, bandisce pubbliche feste e cerca nella poesia il loro ornamento e decoro, il giovane Poliziano gli scrive in due giorni l’Orfeo. E che cosa è l’Orfeo? Come gli venne in mente Orfeo? Giovanni Boccaccio nel Ninfale e nell’ Ameto canta la fine della barbarie, e il regno della coltura o dell’umanità. Il rozzo Ameto educato dalle Arti e dalle Muse apre l’animo alla bellezza e all’amore, e di bruto si sente fatto uomo. Atalante trasforma il bosco di Diana in città, e vi marita le ninfe, e v’introduce costumi civili. Orfeo è il grande protagonista di questo regno della coltura, venuto dall’antichità giovine e glorioso ne’ carmi di Ovidio e di Virgilio. Questo fondatore dell’umanità col suono della lira e con la dolcezza del canto mansuefà le fiere e gli uomini e impietosisce la morte, e incanta l’inferno. È il trionfo dell’arte e della coltura su’ rozzi istinti della natura, consacrato dal martirio, quando, sforzando le leggi naturali, è dato in balìa all’ebbro furore delle Baccanti. Dopo lungo obblio nella notte della seconda barbarie, Orfeo rinasce tra le feste della nuova civiltà, inaugurando il regno dell’umanità, o per dir meglio dell’umanismo. Questo è il mistero del secolo, è l’ideale del risorgimento. Le sacre rappresentazioni cacciate dalle città menano vita oscura nei contadi, e cadono in così profondo obblio che giacciono ancora polverose nella biblioteca.

L’Orfeo è un mondo di pura immaginazione. I misteri avevano la loro radice in un mondo ascetico, fatto tradizionale e convenzionale, pur sempre reale per una gran parte degli spettatori. Qui tutti sanno che Orfeo, le Driadi, le Baccanti, le Furie, Plutone e il suo inferno sono creature dell’immaginazione. A quel modo che nelle giostre i borghesi camuffati da Cavalieri riproducevano il mondo cavalleresco, i nuovi Ateniesi dovevano provare una grande soddisfazione a vedersi sfilare innanzi co’ loro costumi e abiti le ombre del mondo antico. Che