Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/180

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lia. Innanzi al suo spirito ci stanno certe colonne d’Ercole che gli vietono andare innanzi, e quando involontariamente spinge oltre lo sguardo, rimane atterrito e si confessa al padre inquisitore, come avesse gustato del frutto proibito. La sua religione è un fatto esteriore al suo spirito, un complesso di dottrine da credere e non da esaminare, e un complesso di forme da osservare. Nel suo spirito ci è una coltura letteraria e filosofica indipendente da ogni influenza religiosa, Aristotele e Platone, Omero e Virgilio, il Petrarca e l’Ariosto, e più tardi anche Dante. Nel suo carattere ci è una lealtà e alterezza di gentiluomo, che ricorda tipi cavallereschi anzi che evangelici. Nella sua vita ci è una poesia martire della realtà, vita ideale nell’amore, nella religione, nella scienza, nella condotta, riuscita a un lungo martirio coronato da morte precoce. Fu una delle più nobili incarnazioni dello spirito italiano, materia alta di poesia, che attende chi la sciolga dal marmo, dove Goëthe l’ha incastrata, e rifaccia uomo la statua.

Che cosa è dunque la religione nella Gerusalemme? È una religione alla italiana, dommatica, storica e formale: ci è la lettera, non ci è lo spirito. I suoi cristiani credono, si confessano, pregano, fanno processioni: questa è la vernice; quale è il fondo? È un mondo cavalleresco, fantastico, romanzesco e voluttuoso, che sente la messa e si fa la croce. La religione è l’accessorio di questa vita, non ne è lo spirito, come in Milton o in Klopstok. La vita è nella sua base, quale si era andata formando dai Boccaccio in qua, col suo ideale tra il fantastico e l’idillico, aggiuntavi ora un’apparenza di serietà, di realtà e di religione.

Il tipo dell’eroe cristiano è Goffredo, carattere astratto, rigido, esterno e tutto di un pezzo. Ciò che è in lui di più intimo, è il suo sogno, che è pure imitazione pagana, reminiscenza del sogno di Scipione. Il concetto reli-