Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/242

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re un’esistenza artificiale nelle accademie, ma non potrà mai formare una letteratura popolare, perchè la parola, se come espressione è potentissima, come semplice sensibile è inferiore a tutti gli altr’istrumenti dell’arte. La parola è potentissima, quando viene dall’anima, e mette in moto tutte le facoltà dell’anima ne’ suoi lettori; ma quando il di dentro è vuoto, e la parola non esprime che sè stessa, riesce insipida e noiosa. Allora la vista materiale, il colore, il suono, il gesto sono ben più efficaci alla rappresentazione che quella morta parola. Si comprende adunque, come i parolai con tutto il loro spirito e la loro eleganza mantennero la loro influenza in un circolo sempre più ristretto di lettori, e come al contrario presero il sopravvento gli attori, i musici e i cantanti, divenuti popolarissimi in Italia e fuori. Le accademiche commedie del Fagiuoli doveano piacer meno che le commedie a soggetto, venute sempre più in voga, dove il fondo monotono e tradizionale era ringiovanito dagli accessorii improvvisati e dall’abile mimica. D’altra parte nella parola si sviluppava sempre più l’elemento cantabile e musicale, già spiccatissimo nel Tasso, nel Guarini, nel Marino. La sonorità o la melodia era divenuta principal legge del verso o della prosa, e si fabbricavano i periodi a suon di musica: ciascuno aveva nell’orecchio un’onda melodiosa. Parte di rettorica era la declamazione, cioè a dire un modo di recitare solenne e armonioso. La parola non era più una idea, era un suono; e spesso recitavasi a controsenso, per non guastare il suono. Questo movimento musicale della nuova letteratura già visibile nel Petrarca e nel Boccaccio, pure armonizzato con le idee e le immagini, ora in quella insipidezza di ogni vita interiore diviene esso il principale regolatore di tutti gli elementi della composizione: tutto il solletico è nell’orecchio. E si capisce come, giunte le cose a questo punto, la letteratura muore