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libro secondo 235

linguaggio, per la dolcezza dello stile, per l’imitazion di Menandro. Ma Cesare desidera in lui maggior forza di sentimenti. In tal maniera sembra che i biasimatori e i lodatori di Terenzio si possano accordare insieme; e tale è appunto il sentimento del P. Rapin nel parallelo ch’egli ha formato di Plauto e di Terenzio, con cui porrò fine alla serie finor tessuta de latini poeti di questa età. Plauto, dic’egli (Réflex. sur la Poétique n. 26), è ingegnoso ne’ suoi disegni, felice nelle sue immaginazioni, fertile nell’invenzione; non lascia, è vero, d’aver facezie, al parere di Orazio, grossolane e vili; e i suoi motti movevan talvolta alle risa il popolo, gli uomini colti a compassione; molti ne ha eleganti e graziosi, ma molti sciocchi ancora — non è così regolare nell’ordine delle sue commedie, nè nella distribuzion degli atti, come Terenzio; ma è più semplice ne’ suggetti, perciocchè le azioni di Terenzio sono ordinariamente composte, come si vede nell’Andria che contiene doppio amore. E rimproveravasi appunto a Terenzio, che per più animare il teatro, di due commedie greche una ne componesse latina. Ma gli scioglimenti di Terenzio sono più naturali di que’ di Plauto, come altresì que’ di Plauto più di que’ d’Aristofane. Benchè Cesare appelli Terenzio un diminutivo di Menandro (dovea dire piuttosto un dimezzato Menandro), poichè ne ha la dolcezza e la dilicatezza, ma non ne ha la forza e il vigore, egli ha nondimeno scritto con uno stile così naturale e giusto, che di copia che egli era, è divenuto originale; perciocchè niun