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156 discorso sul testo del poema di dante.

più certezza di fatti; ond’io non vorrò nominarlo. Giovimi di rammentargli, che la scarsa probabilità degli esempj danneggia l’utilità di certe teorie; e che se taluni affermarono, niuno ha mai potuto sapere, — che «Omero improvvisava canto per canto «i poemi» — e che «Shakspeare non rimutò, nè corresse, nè cancellò verso nè vocabolo mai» — e che «Dante compose la sua maggiore opera in minor tempo che a noi non bisogna ad intenderla.» — Le tradizioni popolari, la boria nazionale nelle storie letterarie, le magistrali asserzioni de’ critici abusano sempre della buona fede tutta propria e, a vero dire, necessaria alla filosofia metafisica. È scienza altissima, esploratrice de’ sistemi dell’universo: trova tutte le idee del creato oltre i limiti della materia e del tempo; non dee, nè può esaminare accidenti d’anni e di fatti; bensì qualvolta volino a lei dalla terra, gli accoglie, non tanto per accertarsi della lor verità, quanto per giovarsi della loro attitudine e parere effetti soprannaturali di eterne soprannaturali cagioni. E questa infatti è la poesia intellettuale. Però fra gli antichissimi Italiani, Pitagora; e Platone, fra’ Greci; e oggi Kant, fra’ discepoli di men fervida fantasia; inoltre, tutti i dottori di religione; sono, a chi gl’intende, utilissimi fra’ poeti. Nè questo io lo dico per ironia. Il sentire d’esistere, l’esercitare le facoltà della mente, e il dividersi dalle cure e dalla disarmonia delle cose terrene, giovano efficacemente a trovare quel tanto di quietissima voluttà che gli animi, non al tutto sensuali, si possono sperare vivendo. A ciò tende anche la poesia dell’immaginazione; ma non può andare di là da’ termini della materia; parla allo spirito per via de’ sensi, e per quanto abbellisca idealmente la trista e fredda realtà delle cose, non può mai scevrarsi da esse; e si rimane pur sempre ravvolta nelle passioni dolorose e ridicole di tutti i mortali. Se non che la poesia dell’intelletto è per lochi; e questa dell’immaginazione, comechè giovi meno, pur giova a maggior numero d’uomini, dai quali inoltre non richiede lunghissimi studj, nè li distoglie da tutte cure sociali.

XXIV. Onde alla storia critica dell’umana poesia, come di tutte le altre arti dell’immaginazione, importa che le astrazioni siano rigorosamente inibite. Quando anche i primordj, e i progressi visibili, e il compimento d’un’Opera potessero determinarsi con ordine certo e non interrotto di tempo, non però si starebbero meno invisibili e ignotissime sempre le date necessarie a spiare un raggio di lume fra le tenebre della mente. La mente, quantunque talor fecondissima nelle sue produzioni, non è mai conscia nè delle ingenite forze, nè degl’impulsi, nè degli accidenti, nè delle guise della sua fecondità; e comechè s’avveda del frutto che ella produce, e trovi alle volte alcuni espedienti a perfezionarlo, non sa nè quando n’accolse i primi semi, nè come cominciarono a germogliare ed a propagarsi. Gli egregi lavori del Genio dell’uomo non saranno mai probabil-