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Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/461

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448 pensieri (1155-1156-1157)

un’azione piú languida e meno continua ed anche interrotta e di piú un’azione meno perfetta. Vedi p. 1212, capoverso 1 e p. {{ZbLink|2328}.} (11 giugno 1821).


*    Alla p. 1128. Da queste osservazioni apparisce che la desinenza italiana della prima persona attiva singolare del perfetto indicativo, dico la desinenza in ai, è la vera e primitiva desinenza latina di detta persona, conservatasi per tanti secoli dopo sparita dalle scritture, o senza mai esservi ammessa, mediante il volgare latino, e per tanti altri, mediante la nostra lingua che gli  (1156) è succeduta. Desinenza conservatasi anche nella scrittura francese, nostra sorella, ma perduta nella pronunzia, conforme alla qual pronunzia gli spagnuoli (altri nostri fratelli) scrivono e dicono amè ec. Voce senza fallo derivata dall’antichissimo amai, mutato il dittongo ai nella lettera e, forse a cagione del commercio scambievole ch’ebbero i francesi e gli spagnuoli e le lingue e poesie loro ne’ principii di queste e di quelle; commercio notabilissimo, lungo, vivo e frequente e conosciuto dagli eruditi (Andrés, t. II, p. 281, fine, e segg.), e che in ordine alla forma di molte parole e frasi è la sola cagione per cui la lingua spagnuola somiglia alla latina meno della nostra, quantunque in genere somigli e la latina e la nostra assai piú della francese. Cosí nel futuro amarè ec. ec. somiglia alla lingua francese pronunziata.

Quanto alla cagione per cui si trasmise col tempo alle lettere a ed i il digamma eolico, e poi il v, affine d’evitare, come dicono, l’iato, secondo il costume eolico, osserverò alcune cose che gioveranno anche a tutta questa parte del nostro discorso e dalle quali potremo forse dedurre che il detto costume non venne veramente dal popolo, come ho detto p. 1128, il quale anzi pare che conservasse la pronunzia antica fino a tramandarla ai nostri idiomi,  (1157) ma venne piut-