Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/36

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22 pensieri (1234-1235)

zionale, ma bene spesso non si accorge né si può accorgere che quella tale sia versificazione, se non se n’accorge per la materia e per essere scritta in linee distinte o per la rima, che non ha punto che fare col ritmo né colla misura (28 giugno 1821).


*    Alla p. 1226, margine, fine. L’analisi delle cose è la morte della bellezza o della grandezza loro e la morte della poesia. Cosí l’analisi delle idee, il risolverle nelle loro parti ed elementi e il presentare nude e isolate e senza veruno accompagnamento d’idee concomitanti le dette parti o elementi d’idee. Questo appunto è ciò che fanno i termini, e qui consiste la differenza ch’é tra la precisione e la proprietà delle voci. La massima parte delle voci filosofiche, divenute comuni oggidí e mancanti a tutti o quasi tutti gli antichi linguaggi, non esprimono veramente idee che mancassero assolutamente ai nostri antichi. Ma come è già stabilito dagl’ideologi  (1235) che il progresso delle cognizioni umane consiste nel conoscere che un’idea ne contiene un’altra (cosí Locke, Tracy ec.), e questa un’altra ec.; nell’avvicinarsi sempre piú agli elementi delle cose e decomporre sempre piú le nostre idee per iscoprire e determinare le sostanze (dirò cosí) semplici e universali che le compongono, giacché in qualsivoglia genere di cognizioni, di operazioni meccaniche ancora ec., gli elementi conosciuti in tanto non sono universali in quanto non sono perfettamente semplici e primi, (vedi in questo proposito la p. 1287, fine); cosí la massima parte di dette voci non fa altro che esprimere idee già contenute nelle idee antiche, ma ora separate dalle altre parti delle idee madri, mediante l’analisi che il progresso dello spirito umano ha fatto naturalmente di queste idee madri, risolvendole nelle loro parti, elementari o no (ché il giungere agli elementi delle idee è l’ultimo confine delle cognizioni),