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(2151-2152-2153) | pensieri | 79 |
per segni ec. e la tanto maggiore facilità e prontezza con cui essi, sebbene sieno d’intelletto tardissimo, arrivano a quello a cui con molto maggior fatica e tempo arrivano o anche non arrivano i sani, sebbene di grande ingegno. E poi ditemi in che cosa consista il talento, s’esso dipenda o no dalle circostanze, se esso sia altro che una conformabilità ed assuefabilità, maggiore o minore, ma comune a tutti e determinata ne’ suoi effetti, o nell’uso ed applicazione di essa dalle pure circostanze accidentali; se l’uomo in se stesso sia capace o no di cose incredibili e quasi illimitate; se questa capacità (2152) sia o non sia una mera disposizione naturale, comune a tutta la specie, ma secondo le assuefazioni e circostanze, posta piú o meno a frutto (23 novembre 1821).
* Di molte facoltà umane che si considerano come naturali o poco meno, o volute dalla natura ec., considerandole bene si vedrà che la natura non ne avea posto nell’uomo neppure, per dir cosí, la disposizione, una disposizione cioè determinata, diretta, vicina, ma cosí lontana, ch’essa non è quasi altro che possibilità. Cosí è. Infinite sono e comunissime e giornaliere quelle facoltà umane, delle quali l’uomo non deve alla natura altro che la purissima possibilità di acquistarle e contrarle (23 novembre 1821).
* Alla p. 1279, margine. Come la pronunzia di queste due vocali si confondesse, si scambiasse ec. nel latino e anche nel latino scritto, si può argomentare dall’antico costume (2153) di scrivere maxumus, sanctissumus, optumus, decumus, ec. Vedi il Forcellini in I ed U, e l’Encyclopédie, Grammaire, in I ed U, se hanno nulla in proposito. Vedi anche il Cellario, Orthograph. latina, specialmente p. 12. Vedi anche il Forcellini, in Clypeus principio e fine (23 novembre 1821).