Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/150

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(3029-3030) pensieri 143

curarsiquello de’ futuri, o rimettersi alla stima de’ futuri. Che se il tempo che ho detto, colle circostanze che ho supposte, non v’é mai stato, supponendo però ch’egli sia stato o sia mai per essere in alcun luogo, certamente ne verrebbe l’effetto che ho ragionato, cioè che niuno, benché magnanimo, benché insigne tra’ suoi connazionali o compagni, avrebbe o concepirebbe alcuna cura o pensiero della posterità (25 luglio, dí di San Giacomo, 1823).


*    La vita umana non fu mai piú felice che quando fu stimato poter esser bella e dolce anche la morte, né mai gli uomini vissero piú volentieri che quando furono apparecchiati e desiderosi di morire per la patria e per la gloria (25 luglio, dí di San Giacomo, 1823).


*    In molte altre cose l’andamento, il progresso, le vicende, la storia del genere umano è simile a quella di ciascuno individuo poco meno che una figura in grande somigli alla medesima figura fatta  (3030) in piccolo; ma fra l’altre cose, in questa. Quando gli uomini avevano pur qualche mezzo di felicità o di minore infelicità ch’al presente, quando, perdendo la vita, perdevano pur qualche cosa, essi l’avventuravano spesso e facilmente e di buona voglia, non temevano, anzi cercavano i pericoli, non si spaventavano della morte, anzi l’affrontavano tutto dí o coi nemici o tra loro, e godevano sopra ogni cosa e stimavano il sommo bene, di morire gloriosamente. Ora il timor dei pericoli è tanto maggiore quanto maggiore è l’infelicità e il fastidio di cui la morte ci libererebbe, o se non altro, quanto è piú nullo quello che morendo abbiamo a perdere. E l’amor della vita e il timor della morte è cresciuto nel genere umano e cresce in ciascuna nazione secondo che la vita val meno. Il coraggio è tanto minore quanto minori beni egli avventura, e quanto meno ei dovrebbe costare.