Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/366

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(3390-3391-3392) pensieri 359

e molte piú locuzioni e forme spagnuole fossero, non solo dal volgo e nel discorso familiare, ma dai dotti e dai letterati nella lingua scritta ed illustre italiana, introdotte o accettate in quel secolo e nel seguente eziandio (dal Redi, dal Salvini, dal Dati ec.; vedi per esempio la Crusca in albarotto, verdadiero Dallo spagnuolo viene l’avverbio giacché o già che per poiché, usitatissimo appo i nostri migliori del seicento). Perocché la lingua spagnuola era a quel tempo generalmente studiata, intesa, parlata, scritta, e fino stampata, in Italia (vedi Speroni, Orazione in lode del Bembo, nelle Orazioni Veneziane, 1596, p. 144; Caro, Lettere, vol. II, lett. 177). E questa è primieramente un’ottima ragione, perché dalla lingua spagnuola si possa ancora  (3391) attingere, dico l’essersene già molto attinto. Cosí sempre accade nelle lingue. Il già tolto d’altronde e naturalizzato prepara gli orecchi e il gusto a quello che si voglia ancor tòrre dallo stesso luogo, appiana la strada, apparecchia quasi il posto e il letto alle novità che dalla medesima fonte si vogliano dedurre, e ne facilita l’introduzione. Il canale è scavato, né fa di bisogno fabbricarlo; sta allo scrittore il dar corso per esso alle acque, giusta la misura che gli paia opportuna. Aggiungasi a questo, che tale commercio, onde la lingua italiana si arricchí della spagnuola, fu, come ho detto, nel secolo in che la nostra lingua si formò e perfezionò, e prese o determinò il suo carattere, cioè nel cinquecento; ond’é ben naturale che molte parti della lingua spagnuola non ancora da noi ricevute convengano e consuonino colle proprietà della nostra lingua, poiché non poche forme e locuzioni, ed anche non poche voci spagnuole e significazioni di voci, entrarono nella composizione della nostra lingua appunto quand’ella ricevé la sua piena forma e perfezionamento e la distinta specifica impronta del suo  (3392) carattere. Finalmente è da osservarsi che mentre i nostri