Pensieri, Moralisti greci/Appendice/IV. Prime prove delle 'Operette morali'/2. Dialogo fra due bestie

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2. Dialogo fra due bestie

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DIALOGO FRA DUE BESTIE

P. E. UN CAVALLO E UN TORO

(1822-24)

Toro. Che ossa son queste?

Cavallo. Io ho sentito dire spesso ai nostri vecchi ch’elle son ossa d’uomini.

Toro. Che vale a dir uomini?

Cavallo. Era una razza di animali che ora è perduta giá da chi sa quanto tempo.

Toro. Come, è perduta una razza di animali?

Cavallo. Oh, tanti altri animali si trovavano antichissimamente che ora non si conoscono altro che per le ossa che se ne trovano ecc. Discorso in grande sopra questa razza umana che finalmente si finge estinta; sopra le sue miserie, i suoi avvenimenti, la sua storia, la sua natura ecc. Non viveva giá naturalmente, e come tutti gli altri, ma in mille modi loro propri. E perciò avevano questa particolaritá curiosa che non potevano mai esser contenti né felici, cosa meravigliosa per le bestie, che non hanno mai pensato ad essere scontenti della loro sorte.

Toro. Oh, io non ho mai veduto un bue che fosse scontento d’esser un bue. Cagioni dell’infelicitá umana, la vita non naturale, la scienza (e questa dará materia ne’ vari suoi rami a infinite considerazioni e ridicoli) le opinioni ecc. Credevano poi che il mondo fosse fatto per loro.

Toro. Oh questa si ch’è bellissima! come se non fosse fatto per li tori.

Cavallo. Tu burli.

Toro. Come burlo?

Cavallo. Eh via, non è fatto per li cavalli? [p. 342 modifica]Toro. Tu pure hai la pazzia degli uomini?

Cavallo. Tu mi sembri il pazzo a dire che il mondo sia per li buoi, quando tutti sanno eh’è fatto per noi.

Toro. Anzi tutti sanno ecc. E vuoi vederlo? Per li buoi c’è luogo da per tutto e chi non è bue non fa fortuna in questo mondo.

Cavallo. Ben bene, lasciamo stare questi discorsi, e tu pensala come ti pare, ch’io so quello che m’abbia da credere. Esercitavano un grande impero sugli altri animali, sopra noi, sopra i buoi ecc.

come fanno adesso le scimmie, che qualche volta ci saltano indosso, e con qualche ramoscello ci frustano e ci costringono a portarle ecc.

In somma questo Dialogo deve contenere un colpo d’occhio in grande, filosofico e satirico sopra la razza umana considerata in natura, e come una della razze animali, rendutasi curiosa per alcune singolaritá; insinuare la felicitá destinataci dalla natura, in questo mondo come a tutti gli altri esseri, perduta da noi per esserci allontanati dalla natura; discorrere con quella maraviglia che dev’essere in chiunque si trovi nello stato naturale, delle nostre passioni, dell’ambizione, del danaro, della guerra, del suicidio, delle stampe, della tirannia, della previdenza, delle scelleraggini ecc. ecc.

Toro. Oh che matti, oh che matti. Lasciami cercare un po’ d’ombra, che questo sole mi cuoce.

Cavallo. Vattene dove vuoi, ch’io corro al fiume per bere.

Si avverta di conservare l’impressione che deve produrre il discorrersi dell’uomo come razza giá perduta e sparita dal mondo, e come di una rimembranza, dove consiste tutta l’originalitá di questo Dialogo, per non confonderlo coi tanti altri componimenti satirici di questo genere, dove si fa discorrere delle cose nostre o da forestieri, selvaggi ecc. o da bestie, in somma da esseri posti fuori della nostra sfera.

Si potrebbe anche fare un altro Dialogo tra un moderno e l’ombra gigantesca (dico gigantesca perché gli uomini in natura erano certo assai piú grandi e robusti del presente come si sa degli antichi Germani e Galli) di qualcuno vissuto naturalmente e prima della civilizzazione e dipingere la sua continua maraviglia nel sentire appoco appoco il gran cangiamento e snaturamento delle cose umane.