Pensieri, Moralisti greci/Appendice/IV. Prime prove delle 'Operette morali'/3. Dialogo di un cavallo e un bue
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3.
DIALOGO DI UN CAVALLO E UN BUE
Cavallo. Hai veduto quell’animale che ieri mi saltò a cavalcioni sulla groppa, e mi tenea forte per li crini, e per quanto m’adoperassi non ci fu caso di staccarmelo da dosso finattanto che non gli parve di lasciarmi andare?
Bue. Che sorta d’animale era?
Cavallo. Mia nonna mi disse ch’era una scimmia. Per me aveva creduto che fosse un uomo, e questo m’avea messo una gran paura.
Bue. Un uomo? che vale a dire un uomo?
Cavallo. Una razza d’animali. Non hai saputo mai quello ch’erano gli uomini?
Bue. Non gli ho mai visti ecc.
Cavallo. Neanch’io gli ho visti.
Bue. E dove si trovano?
Cavallo. Non si trovano piú, ché la razza è perduta; ma i miei nonni ne raccontano gran cose, che le hanno sentite dai loro vecchi.
Bue. Come può stare che una razza d’animali sia perduta?
Cavallo, ecc. come sopra ecc. ecc. Era una sorta di bestie da quattro zampe come siamo noi altri, ma stavano ritti e camminavano con due sole come fanno gli uccelli, e coll’altre due s’aiutavano a strapazzare la gente.
(Segua il discorso sopra gli effetti naturali di questa costruzione.)
Cavallo. Credevano che il mondo fosse fatto per loro.
Bue. ecc. come se non fosse fatto per li buoi.
Cavallo. Parli da scherzo? ecc. come sopra. Diavolo, chi non sa ch’è fatto per li cavalli? ecc. S’io non fossi nato cavallo mi dispererei, e non vorrei diventare un bue per tutta la biada di questo mondo.
Bue. E io per tutte le foglie e tutti gli alberi (tutti i prati) della terra non avrei voluto essere un cavallo ecc. La buassaggine è il miglior dono che la natura faccia a un animale; e chi non è bue non fa fortuna in questo mondo ecc.
Cavallo. Ben bene, se tu sei pazzo, io non voglio impazzire per cagion tua. Lasciamo queste bubbole e torniamo al fatto nostro. Gli uomini credevano che il sole e la luna nascessero e tramontassero per loro e fossero fatti per loro, benché dicessero che il sole era infinite volte piú grande non solo degli uomini ma di tutti i paesi di quaggiú, e lo stesso delle stelle, e tuttavia credevano che queste fossero come tanti moccoli da lanterna infilzati lassú per far lume alle signorie loro.
Bue. A maraviglia. E quando cascava giú dal cielo qualche scintilla come fa la state, avranno creduto che qualcuno su nell’alto andasse smoccolando le stelle per servizio degli uomini suoi padroni.
(Prima bisogna aver detto che gli uomini dormivano il giorno e vegliavano la notte e si facevano lume accendendo certa roba che la venivano acconciando tratto tratto perchè ardesse.)
Cavallo. Che so io? ecc. Ora se sapessero che il mondo resta tal quale senza loro, essi che credevano che tutto il mondo consistesse nella loro razza, e se succedeva qualche alterazione alle loro monarchie, ammazzamento di capi, cangiamento di padroni in qualche paese, li chiamavano le rivoluzioni del mondo; e i racconti delle loro faccende li chiamavano le storie del mondo, e sí non erano altro che d’una specie d’animali, quando ce ne saranno state e ce ne saranno ora altrettante quanti uomini si contavano allora, e mille razze poi ciascuna da sé, e infinite volte piú numerosa della loro, e questa era piú piccola della nostra, e molto piú rispetto agli elefanti, alle balene e a tanti altri bestioni. E di queste rivoluzioni e queste vicende e casi del mondo ch’essi dicevano, non s’accorgeva altri che loro, e tutto il resto delle cose tirava innanzi collo stess’ordine e badava ai fatti suoi; e noi altri per le selve e per li prati e anche in mezzo agli uomini non sapevamo niente che il mondo fosse mutato. E figurati se un leone, quando si svegliava la mattina nel suo covacciolo e s’allestiva per andare a caccia, pensava punto né poco che il mondo fosse diverso e sapeva o si curava punto che nel tal paese fosse stato ammazzato un certo capo di certi uomini, e che questa cosa fra loro facea gran romore, e mutava lo stato de’ loro affari. E ora che non ci sono piú, il mondo non se n’accorge e non se ne ricorda piú che di quegli altri animali di cui t’ho detto che non si trova altro che l'ossa ecc.
Cavallo. Mangiavano gli altri animali.
Bue. Come fa il lupo colle pecore?
Cavallo. Ma erano nimicissimi de’ lupi, e ne ammazzavano quanti potevano.
Bue. Oh bravi, in questo gli lodo.
Cavallo. Eh sciocco, non lo facevano mica per le pecore, ma per loro che poi se ne servivano ecc. (Si procuri di render questo pezzo allusivo alla cura che hanno i monarchi d'ingrassare i sudditi, per poi spremerne il sugo.)
Ma poi venne un’altra moda, e i padroni non si curavano piú d’ingrassare le loro bestie, ma secche com’erano se le spremevano e se le mangiavano (allusivo al tempo presente). E a’ tuoi pari davano tra le corna e gli ammazzavano, e poi gli abbrostolivano e se li mangiavano e non facevano pranzo senza la carne vostra.
Bue. Oh bestie maledette! E i buoi di quel tempo erano cosí gaglioffi che li lasciavano fare?
Cavallo. (Risponda allusivamente a quello che fanno ora i popoli coi tiranni.) Ciascuno badava ai fatti suoi, e sperava che non toccherebbe a lui ecc. E aveano paura ecc. oziosi ecc. indolenti ecc. Da principio non era cosí, poi gli uomini trovarono altre arti (la politica moderna) gl’ingrassavano gli accarezzavano e poi davano loro sulla testa ecc. ecc.
In proposito degli animali perduti. Anche gli uomini s’erano mutati assai, ed erano quasi altri animali da quelli di prima, che s’erano perduti. Perché da principio erano molto piú forti e grandi e corputi e di piú lunga vita che dopo, che a forza di vizi s’indebolirono e impiccolirono, come anche le razze nostre (de’ cavalli, ed anche de’ buoi) s’indebolivano e imbastardivano tra le loro mani; e per averne delle belle e forti le andavano a pigliar nelle selve ecc. e cosí le piante. Da secoli immemorabili non avevano altro che dire: ‘ oh che mondo, oh che mondo ’, e tutti, padre e figli, giovani e vecchi dicevano sempre la stessa cosa, e il mondo non migliorava mai.
Bue. Come? non erano contenti di questo mondo?
Cavallo. I primi uomini saranno stati, ma poi che non vivevano piú come noi e come i loro antenati e come era naturale, si trovavano scontentissimi, i° perché sapevano troppe cose, e niente pareva loro bello; 2° perché tutti erano birbanti, vale a dire che non moriva un uomo, che non avesse fatto qualche male agli altri volontariamente ecc.
Bue. Dunque anche i topi e le mosche crederanno che il mondo sia fatto per loro.
Cavallo. Io non so niente, ma se lo credono, son bestie pazze.
Libertá naturale e innata delle bestie paragonata alla servitú delle nazioni umane.
AL DIALOGO DEL CAVALLO E DEL BUE
Si può far derivare l’estinzione della specie umana dalla sua corruzione, effetto ben probabile anche in filosofia, considerando l’indebolimento delle generazioni, e paragonando la durata della vita, e la statura in vigore ecc. degli uomini moderni con quello degli antichi. E cosí rispetto ai cangiamenti dell’animo e dello spirito, alle sventure derivatene, al mal essere politico, corporale, morale spirituale che cagionano ecc.
Della generazione delle forze e della statura umana ecc. insomma del corpo umano, vedi il capo V di Velleio, e quivi molte testimonianze nelle note Variorum.
Omnis eorum iuventus (Cauchorum, popoli della Germania), infinita numero, immensa corporibus etc. Velleio II, 106, sect. i. Lo dice come testimonio di vista.
Galli Senones, gens natura ferox, moribus incondita, ad hoc ipsa corporum mole, perinde armis ingentibus, adeo omni genere terribilis fuit, ut plane nata ad hominum interitum, urbium stragem videretur. Floro I, 13.
Vedilo pure II, 4. Insigne spectaculum triumphi fuit. Quippe vir proceritatis eximiae (Theutobochus rex Theutonorum) super tropaea sua eminebat. Id. III, 3.
Cum rege Partorum iuvene excelsissimo. Velleio II, ioi, sect. i, come testimonio oculare.
Vedi i commentatori, Batonemque et Pinetem excelsissimos duces de’ pannonii e de’ dalmati, II, ii4, sect. 4. Questi pure poco prima ch’egli scrivesse, veduti da tutto l’esercito di Tiberio, presi, e forse condotti a Roma in trionfo, e forse allora ancor vivi. Vedi gli storici.
Vedi Floro della corporatura dei Galli propri III, io, dove del re Vercingetorige. Ed ivi, prima, dei Germani.
Di alcune specie perdute di uccelli. Vedi Biblioteca italiana, t. 6, p. 190, dopo il mezzo.
Della lunga vita degli uomini antichissimi, vedi l’opinione mitologica degl’indiani nel Ramayana. Annali di scienze e lettere, Milano, 1816, novembre, N.° 23, p. 35, dal mezzo in giú. Il Ramayana è uno de’ principali libri di mitologia indiana.
Vedi pure Rocca, Memorie intorno alla guerra in Ispagna, Stella, 1816, pp. 161-2, parte II, ed ib. p. i80, principio.