Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3476

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[p. 409 modifica] comuni al suo tempo, massime tra’ romani. Nondimanco io peno a credere ch’altri possa tollerar di leggere sino al fine (o far ciò senza noia) qualunque è piú concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua. Che vuol dir ciò, che vuol dir questa differenza di condizione tra l’antiche e le moderne opere, tradotte ch’elle sieno, se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il piú son parole e stile, tolte o cangiate [p. 410 modifica]le quali cose non resta quasi nulla, e le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le piú ordinarie, le piú trite, le piú popolari cose del mondo. Veramente i pensieri degli antichi, piú o meno, son persone del volgo; detratta la veste, se le loro forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l’occhio a contemplarle, anzi neppure a guardarle, nulla insomma né di singolare né di pregevole. Nelle opere moderne all’opposto tutto è pensieri e persona; stile nulla; vesti cosí dozzinali che piú non potrebbero essere. E perciò appunto è necessario che le opere classiche antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio, cioè quello dello stile, perché i moderni non hanno di gran lunga l’arte dello stile che gli antichi ebbero, né possono nelle loro traduzioni conservare ad esse opere il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse opere dalle piú volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche ec. So che la volgarità de’ pensieri negli antichi da molti è considerata come relativa a noi, che sappiam tanto di piú; ma