Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3565

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[p. 32 modifica] quello stesso primo vocabolo, ebbe una parola per se, o con poca e discreta compagnia d’altri significati.

Or dunque, non potendo quasi la prosa ebraica usar parola che non formicolasse di significazioni, essa doveva necessariamente riuscir poetica e per la moltiplicità delle idee che doveva risvegliare ciascuna parola (cosa poetichissima, come altrove ho detto); e perché essa parola non poteva dare ad intendere il concetto del prosatore se non in modo vago e indeterminato e generale, come si fa nella poesia; e perché quasi tutte le cose, eccetto pochissime, si dovevano esprimere con voci improprie e traslate (ch’è il modo poetico); cosa che in tutte le lingue intravviene, rigorosamente parlando, ma non si sente, se non alcune volte, la traslazione, perché l’uso l’ha trasformata, quasi o del tutto, in proprietà; laddove ciò non poteva aver fatto nella lingua ebraica, la qual se toglieva a una parola il significato proprio in modo che il traslato divenisse padrone e paresse proprio esso, al vero proprio che cosa poteva restare in tanta povertà?