Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3877

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[p. 256 modifica] della indifferenza e quiete e ozio dell’animo, e mancanza di sensazioni o concezioni ec., passioni ec., determinatamente grate o ingrate; e talvolta maggiore eziandio che nel tempo del positivo dispiacere, o sensazione ingrata sino a un certo segno. Ella è maggiore, perché maggiore e piú vivo in quel tempo è il desiderio, come quello ch’é punto e infiammato dalla presente e attuale apparenza del piacere, a cui l’uomo continuamente sospira; dalla vicina, anzi presente, straordinaria e fortissima e fermissima e vivissima, anzi si può dir certa speranza; e quasi dal vedersi vicinissima e sotto la mano la felicità, [p. 257 modifica]felicità, ch’é il suo perpetuo e sovrano fine, senza però poterla afferrare, perocché il desiderio è ben piú vivo allora, ma non piú fruttuoso né piú soddisfatto che all’ordinario. Il desiderio del piacere, nel tempo di quello che si chiama piacere, è molto piú vivo dell’ordinario, piú vivo che nel tempo d’indifferenza. Non si può meglio definire l’atto del piacere umano, che chiamandolo un accrescimento del naturale e continuo desiderio del piacere, tanto maggiore accrescimento quanto quel preteso e falso piacere è piú vivo, quella sembianza è sembianza di piacer maggiore. L’uomo desidera allora la felicità piú che nel tempo d’indifferenza ec. e con assolutamente eguale inutilità. Dunque il desiderio essendo piú vivo da un lato, ed egualmente vano dall’altro, la pena, compagna naturale del sentimento della vita, la qual nasce appunto e consiste in questo desiderio di felicità e quindi di piacere, dev’esser maggiore e piú sensibile nell’atto del piacere (cosí detto) che all’ordinario. Essa lo è infatti (se non quando e quanto la sensazione piacevole, o l’immaginazione