Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4240
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d’animo, una certa quiete dell’animo nel patimento. E potrà essere disprezzata questa virtú quanto si voglia, e chiamata vile: ella è pur necessaria all’uomo, nato e destinato inesorabilmente, inevitabilmente, irrevocabilmente a patire, e patire assai, e con pochi intervalli. Ed ella nasce, e si acquista eziandio non volendo, naturalmente, coll’abitudine del sopportare un travaglio o una noia. La pazienza e la quiete è in gran parte quella cosa che a lungo andare rende cosí tollerabile, per esempio a un carcerato, il tedio orrendo della solitudine e del non far nulla; tedio da principio asprissimo a tollerare, per la resistenza che l’uomo fa a quella noia, e l’impazienza e smania ed avidità ed ansietà di esserne fuori, la quale passata, e dolore e noia si rendono assai piú facili e piú leggeri. E in ciò consiste la pazienza, che è una qualità negativa piú che altrimenti (30 dicembre 1826, Recanati). Vedi p. 4267.
* Circa la stima che gli antichi facevano della felicità, e il contarla come una delle principali doti dei loro eroi, e come soggetto principalissimo di lode, è curioso vedere come Giorgio Gemisto Pletone, nella sua breve ed elegantissima orazione in morte della imperatrice Elena, poi fatta monaca e detta Ipomone, pubblicata da Mustoxidi e Scinà nella loro συλλογὴ ἑλληνικῶν ανεκδότων, τετράδιον, cioè quaderno γ᾽, imitando nelle altre cose, e molto felicemente, gli antichi, gl’imiti anche in questo, di lodar principalmente quella donna per li favori della fortuna; sentimento alieno da’ suoi tempi (Recanati, ultimo del 1826).
* Chi, scrivendo oggi, cerca o consegue la perfezion dello stile, e procede secondo le sottilissime avvertenze e considerazioni dell’arte antica intorno a questa gran parte, e secondo gli esempi perfettissimi degli antichi, si può dir con tutta verità, che scriva solamente e propriamente ai morti, non meno di chi scrive in latino, o di chi usasse il greco antico. Tanto è oggi (e sarà forse in futuro) cercare, con quanto si sia successo, la perfezion dello stile nelle lingue vive, quanto cercarla ed anco trovarla nelle morte, come facevano molti illustri italiani del Cinquecento nella latina (2, 1827).