Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4430

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[p. 363 modifica] avrebbero dovuto avere se fossero stati regolari: per esempio dire io teno, io veno, io poto, per tengo, vengo, posso. Certamente, [p. 364 modifica]da nessuno sentivano essi dire io teno ec.; non dicevano dunque cosí per imitazione, ma per riflessione, per ragionamento; concludevano essi che se da sentire, per esempio, si fa io sento, da vedere, io vedo, la prima persona di tenere, potere, doveva essere io teno, io poto; di venire, io veno. E sbagliavano per esattezza di raziocinio e di generalizzazione. Avevano dunque già trovate da se le regole generali delle inflessioni de’ verbi, e formatosi già in mente il tipo, il paradigma, delle loro diverse coniugazioni: ritrovamento che esige tanta infinità di confronti, tanto acume di mente, e che pare uno sforzo dello spirito metafisico de’ primi grammatici: ai quali non è punto inferiore un tal bambino ec. ec. Quest’osservazione merita grand’attenzione dagli psicologi e ideologi. Vedi p. 4519 (4 del 1829).


*    Alla p. 4369. Socrate ancora appartiene a questo discorso. Dico ciò, avendo riguardo, non tanto ai Dialoghi di Platone, o platonici, ed ai Memorabili di Senofonte, quanto alla gran moltitudine di sentenze, similitudini o comparazioni, apoftegmi e detti morali, che sotto nome di Socrate, tratti da diversi autori e compilatori che li riferivano, si leggono nelle collezioni o florilegii di Stobeo, d’Antonio, di Massimo (4 del 1829). Vedi p. 4469, fine.


*   Al nostro da capo è anche analogo il greco ἅνωθεν per di nuovo, (quasi da cima, che noi diremmo anche appunto da capo). Socrate, ap. Stobeo, cap. 123, παρηγορικά: ed. Gesner., Tigur., 1559. πεττείᾳ, τινὶ ἔοικεν ὁ βῖος῾ καὶ δεῖ ὥσπερ ψῆφόν τινα τίθεσθαι τὸ συμβαῖνον οὺ γἁρ ὲσιν ἄνωθεν βαλεῖν οὐδὲ ἀναθέσθαι τὴν ψῆφον. Aleae ludo similis est vita: et quicquid evenit, veluti quandam tesseram disponere oportet. Non enim denuo jacere licet, neque tesseram aliter ponere (versio Gesneri). Al