Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/564

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[p. 64 modifica] abusava inevitabilmente, né per parte del popolo. Perché se questo non era costretto e circoscritto da freni, da leggi, da forze, insomma da catene, non era piú capace di ubbidire spontaneamente, di badare tranquillamente alla sua parte, di non usurpare, non sacrificare il vicino o il pubblico a se stesso, non aspirare all’occasione anche al principato, insomma non era capace di non tendere alla πλεονεξία in ogni cosa. L’ubbidienza e sommissione totale al principe e l’esser pronto a servirlo non è insomma altro che un sacrifizio al ben comune, un esser pronto a sacrificarsi per gli altri, un contribuire pro virili parte al pubblico bene. Dico quando la detta sommissione è spontanea. Ma l’egoismo non è capace di sacrifizi. Dunque la detta sommissione spontanea non era piú da sperare; la comunione degl’interessi d’ogni individuo coll’interesse pubblico era impossibile. Nato dunque l’egoismo, né il popolo poteva ubbidir piú se non era servo, né il principe comandare senza esser tiranno (vedi p. 523, capoverso ultimo).

Le cose non andavano piú alla buona, né secondo natura, e questo o quello non andava in questo o [p. 65 modifica]quel modo, se non per una necessità certa e definita; ed era divenuta indispensabile quella che ora lo è molto piú, in proporzione della maggior corruttela, cioè la matematica delle cose, delle regole, delle forze.