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Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/915

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[p. 263 modifica] nazione, e quasi come un’altra razza e natura di uomini dipendente, subalterna, e subordinata alla razza libera e uguale. Ecco l’uso della schiavitú interna ne’ popoli liberi e uguali; uso tanto piú inerente alla costituzione di un popolo, quanto egli è piú intollerante della propria servitú, come si è veduto negli antichi. In questo modo la disuguaglianza in quel tal popolo libero veniva ad esser minore che fosse possibile, essendo le fatiche giornaliere, i servigi bassi, che avrebbero degradata l’uguaglianza dell’uomo libero, la coltura della terra ec. destinata agli schiavi; e l’uomo libero, chiunque si fosse e per povero che fosse, restando padrone di se, per non essere obbligato ai quotidiani servigi mercenarii, che vengono necessariamente a togliere in sostanza la sua indipendenza e libertà; e non partecipando quasi, in benefizio comune della società, se non della cura delle cose pubbliche, e del suo proprio governo, della conservazione o accrescimento della patria col mezzo della guerra ec., colle sole differenze che nascevano dal merito individuale ec.

Tale infatti era la schiavitú nelle antiche repubbliche. Tale in Grecia, tale quella degl’Iloti, stirpe tutta schiava presso i Lacedemoni, oriunda di Elos (Ἕλος) terra (oppidum) o città (così Strabone presso il Cellario, I, 967) del Peloponneso, presa a forza da’ Lacedemoni nelle guerre, credo, messeniache,e ridottane tutta la popolazione in ischiavitú, sí essa come i suoi discendenti in perpetuo. Vedi l’Encyclopédie, Antiquités, art. Ilotes, e il Cellario I, 973. Tale la schiavitú presso i Romani, della quale vedi, fra gli altri il Montesquieu,