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Pensieri e discorsi/L'Avvento/II

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L'Avvento - I L'Avvento - III
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II.


Questo voltafaccia della psiche popolare che dal compiangere il delitto passa a commiserare colui che l’ha commesso, si considera dai più come una malattia dello spirito. E sia. In verità una scienza nuova, e già gloriosa, cerca negli uomini le traccie della degenerazione; e le trova in quelli che soli esamina; che sono o i geni o i delinquenti. Perchè in questi due ordini d’esseri umani le trova, anzi, ella è giunta a riconoscere una parentela tra loro. Ma perchè non istudia essa l’uomo normale? l’uomo che nè commette crimini da esser chiuso in prigione, nè fa capolavori da meritare il Pantheon? Chi sa? ella troverebbe che non v’è uomo al mondo, per mediocre che sia, nè troppo santo nè troppo cattivo, nè alto nè basso che non abbia alcune delle anormalità da loro segnalate nei delinquenti e nei geni.

D’ognun di noi studiando l’albero genealogico, forse troverebbe qualche figura a cui fermarsi; [p. 229 modifica]studiando d’ognun di noi le abitudini, troverebbe qualche particolarità di cui sospettare: dorme troppo, dorme poco costui; piange per nulla, ride di nulla; è distratto, è contratto; esce di notte, non esce di notte; s’adira all’improvviso, ha una calma continua... Io credo che l’uomo normale non esista: e come sarebbe a quei dotti impossibile dimostrare che esiste, cercandolo per tutto il mondo, come colui che cercava l’uomo felice di cui aver la camicia, così è facile a ognuno, con una sola parola, dimostrare che non esiste: non esiste l’uomo normale, perchè questi sarebbe l’uomo non evoluto, ossia il non-uomo ancora. Chiamerebbero essi degenerata la Terra, perchè non è più gas? e in Giove troverebbero essi avanzata e nel Sole già cominciata la degenerazione? È questione di parole. Essi trovano nel tal genio o nel tal delinquente certi strani timori... Ma non sanno essi che l’uomo è l’animale che teme ciò che le bestie non temono? non sanno essi che l’uomo è l’animale che sa di morire? Trovano che il tal altro, genio o delinquente, aveva tenerezza per la sorella e per la madre. Ma non sanno essi che l’uomo è colui che ama la femmina anche all’infuori della spinta sessuale? Trovano in tutti, credo, i geni e i delinquenti, l’epilessia... Ma tutti, tutti portiamo in noi lo squilibrio della fatale ascensione, per cui dal pithecanthropos alalos si svolse l’homo sapiens, e dall’homo sapiens o ragionevole si svolge l’homo, che io dirò humanus...

E qui, dame gentili, io mi rivolgo a voi, perchè temo che vi sembri già che io non abbia accolto il vostro pio invito, se non per farvi ascoltare una lezione d’empietà. No, dame gentili. Io vi ricorderò alcunchè del libro sacro a cui credete, e vedrete, [p. 230 modifica]che ciò che io ho detto, non contradice a ciò che là è scritto.

Non è, questo, un vano esercizio di arte sofistica: trovare il nesso e la somiglianza tra le idee e i sistemi e le credenze più disparate, è servire fedelmente la causa della concordia dell’irrequieto genere umano che non si pacificherà, credete, con la soppressione di questo o di quello, ma con la persuasione di tutti. Dice dunque la Bibbia, che l’uomo fu creato in istato di grazia e di libertà. Subito però (i teologi computano questo tempo a poche ore) fu cacciato dall’Eden; e ciò che si racconta di lui, dopo che fu cacciato, è subito l’uccisione del fratello commessa dal fratello. Non vi è antropologo il quale non debba ammettere che la bestia che diventò l’uomo, era potenzialmente uomo anche quand’era bestia. Era una bestia quella che aveva in sè il suo destino futuro. Nata dal limo, aveva in sè il soffio di Dio. Ma, non ostante questo soffio, ella si mostrò più bestia delle bestie le quali non uccidono così facilmente le loro simili. Si mostrò più bestia delle bestie, non ostante che edificasse le case e le città. Perchè la Bibbia appunto seguita a narrare che fu Caino, la bestia che uccise il fratello, che edificò le prime città!

“O dunque era molto sapiens questa bestia primitiva? E non era cioè bestia, ma homo!„ così obbiettate. E avreste ragione, se l’homo sapiens, svoltosi dalla bestia primitiva, fosse l’uomo veramente uomo. Non era, non è.

È un vecchio concetto, codesto, e non vero, che sia l’intelligenza che distingua l’uomo dal bruto. Non è vero: le case le edifica anche la rondine, e di fango impastato come noi; e la lucciola ha saputo, [p. 231 modifica]con lunga esperienza, scegliere tali sostanze con cui aver luce nelle sue notti, e con lunga esperienza ha saputo l’ape scegliere tale cibo con cui fare il miele e la cera; e le formiche hanno i loro granai, e i castori hanno le loro città. L’intelligenza e la conservazione della vita sono tra loro in tal nesso, che se chiamate istinto naturale quest’ultima, dovete chiamare istinto anche quella prima. E istinto vuol dire qualcosa a cui non possiamo sottrarci e che s’impone come una necessità. E non c’è mirabile opera umana, non c’è macchina, non c’è traforo di monti, non c’è navigazione di mari, non c’è volo tra le nubi, non c’è asservimento di forze cieche e libere, che, considerati da esseri più perfetti, i quali dimorino in altri pianeti, non facessero loro pensare che noi abbiamo ubbidito, con ciò, alla stessa necessità a cui i conigli, che so io, gli uccelli e gli insetti alati, le lucciole e i ragni. Quando e dove l’abitatore dei pianeti lontani comincerebbe a pensare che noi siamo essenzialmente diversi dai ragni tessitori e dalle lucciole fosforescenti?

Quando e dove vedesse, che noi facciamo qualcosa contro quell’istinto, quando e dove riconoscesse che noi abbiamo conquistato o andiamo conquistando — che cosa? — La libertà! quando cioè e dove stupisse, che alle madri degli uomini non basta dare il loro latte ai loro piccoli e provvedere al loro sostentamento, fin che non siano atti a fornirselo da sè; ma vogliono anche educarli, istruirli, tremare e piangere e tribolare per loro tutta la vita; che ai padri degli uomini non basta aver fecondata la femmina, ma si trattengono presso lei, e non solo l’aiutano ad alimentare i piccini, ma diventano i loro più [p. 232 modifica]attivi, più pensosi, più solleciti guardiani e maestri; che, cosa più mirabile ancora, queste madri e questi padri pensano ai figli degli altri; che, cosa da esaltarsene in sè, quel figlio più puro dei cieli, ci sono tra gli uomini quelli che rinunziano a godere, perchè altri non pianga, a mangiare, perchè altri non digiuni, a vivere, perchè altri non muoia. Ora, come mai — quell’essere superiore esclamerebbe — come mai in questa povera razza d’esseri deboli, caduchi, efimeri, ha potuto fiorire questa pianta inseminata della volontà? come questo genere d’animali bipedi senza ali ha potuto liberarsi dai legami della egoistica e cauta e fredda ragione? Chi ha portata la pietà in terra? Quando l'homo, così sapiens, ha potuto, non in virtù della sua sapienza, ma contro contro contro la sua sapienza stessa, tanto superiore a quella degli altri animali terreni; quando l’homo sapiens ha potuto divenire homo humanus? Per qual miracolo è avvenuto in questo selvaggio pianeta, dopo il fiero regno della ragione, il dolce regno del sentimento?

Ecco l’avvento! Quel che è cominciato già, sebbene non abbia ancora conquistata tutta la terra, è il regno della pietà, cioè della volontà, cioè della libertà! Tutto lo dice e lo grida.

La pietà vuole entrare, dove le era precluso l’adito: oltrepassa le gabbie di ferro, tenta le massiccie porte del carcere, sulla cui soglia sta la giustizia in armi. “Sono vittime anch’essi, i tuoi re, o Giustizia, come le loro vittime. Portano la pena di questo movimento intimo, che ha scosso i nervi dell’antico bruto, che ha insegnato a lui spasimi e dolcezze nuove, che gli ha appreso a ridere e a piangere! È un disordine nell’anima di tutti: le fibre [p. 233 modifica]del cervello non hanno più in alcuno quella loro primitiva regolarità. Il sentimento, cosa nuova, porta come il suo bene, così il suo male. Non essere così ragionevole, o Giustizia. Perdona più che puoi„. — Più che posso? — Ella dice di non potere affatto. Se gli uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado di moralità da sentire veramente quell’orrore al delitto, che tu dici, si potrebbe lasciare che il delitto fosse pena a sè stesso, senza bisogno di mannaie e catene, di morte o mortificazione. Ma... Ma non vede dunque la giustizia che quest’orrore al delitto gli uomini lo mostrano appunto già assai, quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se è dato in pena d’altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più tollerabile?