Per la storia della cultura italiana in Rumania/I. Primi contatti fra Italia e Rumania/I. Introduzione

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../../I. Primi contatti fra Italia e Rumania

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I. Primi contatti fra Italia e Rumania I. Primi contatti fra Italia e Rumania - II. Corrente filologica
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I

Introduzione


1. Origine del presente lavoro.

Non molti anni fa, un giovine studioso rumeno, che conosce la letteratura francese come pochi ed è, naturalmente, assai versato nella propria, si è proposto di studiare in un bel volume, ricco di fatti e di notizie, l’influenza dei romantici francesi nella poesia rumena del sec. XIX. Dalla lettura di questo [p. 2 modifica]volume del Signor Apostolescu1sono stato invogliato a fare anch’io delle ricerche intorno alla lingua e alla letteratura italiana in Rumania, e, poi che queste non sono state del tutto infruttuose, eccomi ad esporne i primi risultati. Naturalmente l’influenza italiana sulla letteratura rumena è assai minore di quella francese, anzi può dirsi limitata — in quanto influenza preponderante. — a Ienăchiță Văcărescu, Ioan Heliade Rădulescu e Gheorghe Asaky, precursore il primo, promotore il secondo, seguace il terzo di quell’indirizzo filologico-letterario, che fu detto dell’italianismo e rappresenta in fondo lo svilupparsi in Rumania d’una tendenza ch’era, in germe, già nella Scuola latinista di Transilvania.

Non intendo contrapporre al volume dell’Apostolescu i documenti che verrò qui raccogliendo coll’unico fine di render note in Italia queste lontane propaggini della nostra letteratura. Trascurate dagli studiosi di cose rumene, ignote addirittura ai cultori di letteratura italiana, m’è sembrato valesse la pena di studiarle in un capitolo da aggiungersi ai molti che già possediamo di quella futura Storia della letteratura italiana fuori d’Italia2, di cui si sente già il bisogno e sarà certo la benvenuta, quando finalmente un qualche studioso ce la darà.

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2. Vie per le quali la cultura italiana penetra in Rumania.

Nel secolo XVII, e, più ancora, nel seguente, la cultura italiana penetrò in Rumania per vie molteplici:

a) dalla Polonia, dove il Rinascimento italiano, emigrato non solo idealmente, ma anche, direi, materialmente coi numerosi italiani, che, intorno a quel tempo, vissero in Polonia, dette origine a tutto un movimento, che non fu senza influenza sulla cultura rumena contemporanea;

b) dalla Grecia, per mezzo delle numerose traduzioni in greco dei nostri scrittori più noti, quando, sotto i Fanarioti, il greco fu considerato in Rumania come la lingua letteraria per eccellenza;

c) da Venezia, dove appunto la maggior parte di quelle traduzioni videro la luce; si stamparono, per conto di varii Voda, i primi libri liturgici in antico slavone (onde le iscrizioni funerarie rumene del tempo ci mostran nella forma tondeggiante delle slove l’influsso dei caratteri veneziani del Rinascimento); [p. 4 modifica] si eseguirono non poche rilegature di vangeli in argento battuto; donde, per il tramite di artisti dalmati chiamati a costruir chiese e monasteri votivi, par certo ormai che l’arte veneziana del cinquecento penetrasse in Rumania;

d) da Vienna, dove importanti personaggi rumeni (e valga per tutti il Văcărescu) si trovarono a contatto con dotti e letterati italiani; dove prima lo Zeno e poi il Metastasio furon poeti cesarei; dove, infine, molte opere italiane apparvero tradotte in greco;

e) dalla Transilvania, legata per vincoli di sangue, di lingua, e di tradizioni ai rumeni dei Principati danubiani, e, nel contempo, parte di quell’impero absburgico che si stendeva allora anche in Italia; in contatto poi con Roma e visitata spesso da prelati italiani;

f) dalla Francia medesima, che, nel secolo XVII, fu anch’essa sotto l’influsso del pensiero, dell’arte, e, sopra tutto, della poesia italiana.

Non sarebbe però stato così facile alla cultura italiana di aprirsi tante strade verso la Rumania, qualora il terreno non fosse stato preparato e ogni ostacolo rimosso dalle relazioni storiche, politiche, religiose e commerciali, che, nel passato, erano intercedute fra i due paesi; molte delle quali tuttavia sussistevano. Tra queste relazioni, certo le più importanti son quelle dovute all’influenza che ancora esercitava nel secolo XVII, ed esercitò ancora per buona parte del secolo seguente, la Repubblica di Venezia, se non più, come una volta, nella politica e ne’ commerci, certo ancora moltissimo sulla cultura dei popoli abitanti l’oriente d’Europa, e, in ispecial modo, la Grecia. Non vanno ad ogni modo trascurate altre relazioni, che hanno anch’esse un’importanza non piccola nella storia dei contatti italo-rumeni, come p. es. quelle assai più strette e frequenti, che corsero, anche prima del tempo cui ci riferiamo, tra i paesi danubiani, Venezia stessa e la Republica di Genova, ed alle quali si deve il contatto costante, che quei popoli conservarono colla cultura, la lingua e l’arte italiana, agevolando viaggi, promovendo missioni politiche, moltiplicando le occasioni di vedersi e di conoscersi; e, sopra tutto, la politica religiosa dei Papi, che mirò sempre all’unione delle due Chiese, cattolica e ortodossa, e che, attirando a Roma i rumeni di [p. 5 modifica] Transilvania, tornati il 1697 in grembo al Cattolicesimo3 rese loro possibile di acquistar coscienza dell’origine latina della lor nazione, dando origine a quella Scuola latinista di Transilvania, che, passati i confini, si trasformò ben presto in quella italianista di Heliade.

Tratteggiate così le molteplici cause, che favorirono il penetrare e il propagarsi della cultura italiana in Rumania, o, per parlare con maggiore esattezza, nei due Principati di Moldavia e di Muntenia (Valachia); converrà, piuttosto che esaminarle separatamente4, raggrupparle a seconda dei fenomeni cui dettero origine.


Note

  1. L’influence des romantiques français sur la poesie roumaine par N. I. Apostolescu, docteur ès lèttres, avec une préface de M. Emile Faguet de l’Academie française, Paris, Champion, 1909.
  2. Fin dal 1834, Sebastiano Ciampi (op. cit., p. I) deplorava, che le „storie e notizie letterarie ed artistiche delle culto nazioni” rimanessero,,come i popoli indigeni degli antichi, rinchiuse ed isolate nei propri! limiti, senza conoscersene al difuori le straniere vicendevoli comunicazioni”, e più tardi (1850) il Balbo accennava chiaramente (in quel suo meraviglioso Sommario della Storia d’Italia Torino, 1865, p. 306) ad una „storia intiera e magnifica e peculiare all’Italia” che „sarebbe a fare degli Italiani fuor d’Italia”, poi che „tutte le nazioni senza dubbio ebbero fuorusciti volontarii o no; ma niuna così numerosi e così grandi come la nostra”. Eppure, malgrado il Balbo mostri di ritenere che questo suo desiderio fosse stato in parte esaudito dal Ricotti, una tale storia— che sarebbe il miglior monumento da innalzare a quel „mirabile ingegno italiano”, di cui il Balbo medesimo dice, che, „chiusagli una via, ne sa trovar altre e altre infinite;...chiusagli la patria ad operare, opera fuori, cerca, trova altri campi in tutti i paesi in tutte le culture”; — una tale storia, dico, non esiste ancora, onde, più recentemente ancora, il Flamini esprimeva, a proposito dell’imitazione straniera della prosa italiana del Rinascimento, un desiderio analogo: „Della fortuna dei nostri prosatori in Ispagna e in Germania è ancora tutta da ricercare e tessere la storia; intorno a quella ch’essi ebbero nell’Olanda fu scritto, ma non compiutamente di fresco. Quando possederemo un’accurata bibliografia delle tante versioni, che in quei paesi si fecero delle cose nostre, si potrà con miglior frutto procedere altresì a un „inventario” dei molti debiti, che il romanzo, la novella, la prosa parenetica e didascalica presso le nazioni civili d’Europa hanno colla letteratura italiana del glorioso cinquecento! Bel campo di studii tuttavia inesplorato, da invogliare a percorrerlo per ogni verso chi abbia inclinazione e attitudine all’indagine comparativa dei fatti letterari!” (Flamini, Il Cinquecento, Milano, Vallardi, 1900, p. 480). Le noterelle che qui raccolgo non han la presunzione di colmare nessun vuoto; ma di contribuire, pur colle minime forze del loro autori’, a che altri possa un giorno giovarsene nell’accingersi all’arduo lavoro.
  3. Col nome di „Biserica Unita” [„Chiesa Unita”].
  4. Anche perchè molto spesso convergono, o si complicano in modo che non sempre riesce possibile assodare come le cose siano veramente andate. Un curioso esempio delle interferenze fra le diverse correnti di penetrazione della cultura italiana del Rinascimento in Oriente, ce l’offre l’opuscolo del Bessarione intorno al procedimento dello Spirito Santo, tradotto dal greco in latino dall’Ἀρκούδιος e dal latino in polacco da Jan Januszowski. Cfr. Légrand, Bibliographie néo-heliénique, Paris, Picard, 1895, III, p. 230. Un altro esempio curiosissimo è quello del Fior di filosofi, ingenuamente ritradotto in italiano di sull’antica versione francese da Anton Maria Del Chiaro (che lo intitolò Massime degli Orientali) e quindi dall’italiano in greco e dal greco in rumeno.