Piccola morale/Parte prima/V. La memoria

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Parte prima - V. La memoria.

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V.


LA MEMORIA.


Tutti levano a cielo il bel dono ch’è quello della memoria; ed è in bocca di ognuno l’antico adagio: tanto sapersi da noi quanto siamo abili a ricordare. Ora facciamoci ad interrogare il più della gente, se possegga questo dono tanto utile e vagheggiato; il più della gente ci confesserà con non poco dispetto d’esserne senza. Una tale opinione, che gli uomini hanno generalmente della propria facoltà memorativa, parmi procedere da un falso concetto che di essa facoltà [p. 23 modifica]sonosi fatto, anzichè da ragione. Non credo di svolgere un ingrato argomento se mi studio di dimostrare che tutti, dal più al meno, siamo provvisti di un capitale di memoria molto maggiore di quello sappiamo o vogliamo presumere comunemente di possedere.

Vuolsi notare che vi hanno molte guise di memoria, e che spesse volte tanto è per noi il credere di non avere memoria quanto l’accorgerci di non averne o di quella specie, o in quella dose che avremmo desiderato. Ci hanno memorie arrendevoli a una semplice articolazione di suoni, come sono in quegli uomini prodigiosi che ti recitano, appena uditi, un centinaio di versi, ripigliando dall’ultimo e da esso risalendo fino al primo. Allre memorie sono quelle che si aiutano della riflessione a ben collocare le parti di un discorso secondo un dato ordine, col fine di avere in quest’ordine stesso un richiamo per procedere da capo a fondo nella ripetizione del discorso suddetto. Ci sono memorie a cui abbisognano altri sussidii, come sarebbero quelli di oggetti materiali, quasi punti interposti nello spazio per segnare le distanze. Giova, per esempio, alcuna volta per ritessere nella propria mente un discorso di cui ci siamo in parte dimenticati, ricordare il luogo dov’esso discorso ci venne fatto, le persene ch’erano in nostra compagnia, l’abito e il gesto di quello che ci parlava. Potrei distendermi assai lungamente, [p. 24 modifica]quando volessi tutte annoverare le varie specie di memoria. Si potrebbero anche notare a questo proposito molte stravaganze. Taluno, che non saprebbe ritenere la tela di due periodi, è atto a ricordarsi una mostruosa filza di date; e all’incontro chi potrà riferirti rettamente quanto si contiene in un grosso volume di storia, trovarsi imbarazzato a notarti con precisione l’anno di tale o tal altro avvenimento. Bisogna confessare che in ciò può avere una gran parte l’abitudine. Ho conosciuto nell’Università di Padova un professore di chirurgia ora defunto, che, avendo avuto da fanciullo il costume di gettar l’occhio con qualche frequenza sopra almanacchi, erasi abituato a sapere ciascun anno esattissimamente il santo che si celebrava in ciascun giorno, e ciò non più che con qualche lettura del nuovo lunario al principiare dell’anno stesso.

Queste varie guise di memoria sono. come ognun vede, opportune a varii usi. Altra è la memoria che occorre ad un archeologo, altra quella che domandasi per un poeta. Si danno anche dei casi nei quali la memoria riesce ad impedimento, attraversando colle idee degli altri le proprie, e frenando il volo dell’immaginazione colla presenza intempestiva dell’autorità. Una guisa di memoria, che quantunque non sia la più apparente, giova forse a preferenza d’ogni altra i progressi dello studioso, si è quella che tace, a così dire, il resto del tempo, e si leva, anche non [p. 25 modifica]chiamata a parlare al bisogno. Sonovi di quelli che poco o nulla ricordansi di quanto hanno letto od udito; ma come si pongono a comporre alcuna cosa, le reminiscenze delle fatte letture, o degli uditi discorsi, filtrano inavvertite per entro il loro dettato. Ciò è quello che volgarmente si chiama far passare quanto si legge ed ascolta in succo ed in sangoe.

Oltre che negli studii, la memoria torna utilissima in tutto il resto del vivere. Al rivedere una persona dopo molti anni siete certi di guadagnarvene l’affetto, ricordandole destramente il luogo ove l’avete veduta, i discorsi tenuti eoa essa, e le altie circostanze di quella vista. Ciò accade alcuna volta per l’impressione che quella data persona o i discorsi di lei fecero sopra il vostro animo, ma alcune altre è semplice effetto della facilità che avete di ricordarvi ogni cosa. Quegli però cui parlate prenderà sempre la cosa nel senso più favorevole alla propria vanità. Anche in questo proposito ci hanno memorie di un genere particolare. V’è chi non si ricorda punto il dove, il quando, e nemmeno il nome di una persona, ma serba profondamente nel cuore il vestigio della buona o cattiva impressione che ricevette da lei.

Rivedendo quel tale, le tracce che il tempo non ha cancellato si ravvivano, ina la memoria del nome, dei luoghi, dei tempi non viene seconda, e quindi la conversazione si avvia sopra [p. 26 modifica]materie indifferenti, e cammina tarda e fredda, mentre l’animo domanderebbe una espansione, e una confidenza maggiore. Io sono solito in questi casi di badare più al tenor della voce, al gesto e ad altri simili indizii che accompagnano il discorso, che al discorso stesso; e molte volte all’incontro quando altri, che mi ha veduto appena una volta, sa dirmi a puntino ogni cosa da me fatta e detta in quell’occasione, anzichè il mio amor proprio se ne compiaccia soverchiamente, vo fra me e me medesimo ripetendo: buona memoria! Oh quanto mi piacciono certe sospensioni, come di persona cui sembra rimanga alcuna cosa da dire, certi lunghi silenzii, certi indugi, a così dire sopra un piede solo, quando l’altro è già alzato per mettersi in via! Poca memoria, il concedo, ma desiderabile in quelli che sono, o diventar debbono nostri amici, più assai della buona memoria detta di sopra.

Finora s’è detto del ricordarsi, e dell’arti suggerite a rendere più compiuta una tal facoltà: converrebbe dire anche qualche cosa del dimenticarsi. Non so che sia stata scritta nessuna opera a questo fine. Eppure quanto difficile ad essere insegnata, tanto utile ad essere appresa sarebbe l’arte del dimenticarsi! Di questa utilità verrebbe a parte, non che la letteratura, la morale. A perdonare un’offesa non più occorrerebbe che questo; e in quelli ancora che sanno perdonarla in onta del ricordarsene, la dimenticanza farebbe sorgere [p. 27 modifica]più facilmente i benevoli sentimenti. Di quante malinconie, di quanti dispetti non sarebbe liberata la nostra vita, chi potesse ammaestrare gli uomini nell’arte di tener lontane dalla propria mente certe memorie! Nessun maggior dolore — Che ricordarsi del tempo felice — Nella miseria. E all’Ermengarda era forza di travagliarsi in una vita infelice, e Sempre un oblio di chiedere — Che le saria negato. Anche nelle lettere l’arte del dimenticarsi non sarebbe senza vantaggio. Quante volte l’autorità non rugge sopra l’ingegno, e non mortifica un germe che vorrebbe sbucciare in tutta la naturale sua forza? Molte cose si dicono e si fanno soltanto perchè sonosi udite o vedute dire e fare da altri; e non sono certamente quelle che meglio onorino la nostra vita, o almeno di cui possiamo rendere conveniente ragione. Insomma chi non ha troppo felice memoria abbia per conforto, che se ciò in alcuni casi gli sarà di danno, non potrà non essergli di profitto in alcuni altri, e possederà per gratuito benefizio della natura, ciò che altri vorrebbe acquistarsi a prezzo di molta fatica. Oh certe facoltà negative possono competere con certe altre positive dell’anima nostra, ed essere anche alcuna volta cercate di preferenza!