Platone in Italia/XI. Cleobolo a Speusippo

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XI. Cleobolo a Speusippo

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X. Platone a Critone XII. Di Cleobolo a Speusippo

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XI

Cleobolo a Speusippo

[Filosofia pitagorica — Collegi e gradi dei pitagorici — Pitagorici c pitagorei — Libri dei pitagorici — Proibizione dell’uso delle carni attribuita a Pitagora — Sua probabile spiegazione storica — La crudeltá verso le bestie induce a quella verso gli uomini — Col volgo, per colpir giusto, è necessario mirare un poco piú alto — Come il mirabile tocchi presto l’assurdo e il ridicolo — Pitagorica astensione dalle fave — Cause di codesta usanza comunemente addotte — Certo, è costume antichissimo d’Italia — Il conservatorismo dei sacerdoti li rende misteriosi — Spesso sono attribuiti alla filosofia effetti di mera superstizione.]

La prima curiositá di ogni viaggiatore è appagata. È tempo di divenir savio e non perdere il piú gran frutto che io uvea stabilito ritrarre da un viaggio, che mi tiene e mi terrá ancora per molto altro tempo lontano da mia madre e da te. Io mi son tutto dato a conoscere la filosofia di Pittagora e degl’italiani.

— Mnesilla — tu dirai — non ha influito per poco in questa tua risoluzione. — E perché ti direi io di no? È pur dolce cosa esser della setta di colei che si ama! E tra le mie fortune io non credo minore di quella di aver avuto Platone per maestro, l’altra di aver avuti te ed Aristotele per compagni e Mnesilla per amica. 11 piú difficile nello studio della sapienza è l’acquistarne l’amore.

Se fossi venuto in Italia in altri tempi, forse non avrei trovato facile l'esser ammesso tra pittagorici. Essi allora formavano [p. 49 modifica]un collegio1, in cui i gradi eran molti; difficile era l’esser ammesso al primo, difficilissimo passar da questo agli altri.

Vi eran de’ collegi di uomini e di donne. Tanto ne’ primi quanto ne’ secondi vi erano i pittagoristi ed i pittagorei. I primi erano piuttosto amici devoti di Pittagora che suoi compagni.

Pittagora avea fatto in ogni cittá edificare un tempio alle muse2. Vuoi tu sapere che sia mai un tempio consacrato alle muse? Noi non abbiamo in Grecia simili istituzioni. Ma immagina un edilízio vastissimo, il quale sia tutto consacrato allo studio della sapienza. Vi sono delle sale per tutte le classi di uditori: talune, molto ampie, per li pittagoristi, uomini e donne; talune altre, piú ristrette, per coloro i quali sono iniziati a gradi maggiori. Vi sono delle sale destinate ad uso di biblioteca. Ogni pittagorico, che scrive un libro, rende un omaggio al collegio a cui appartiene, offerendogliene una copia. Molti soglion anche pubblicarlo sotto il nome del collegio e dello stesso Pittagora3. Cosí i libri de’ pittagorici si conservano, e la dottrina si tramanda in un collegio da un’etá all’altra. Ma le ultime turbolenze politiche dell’Italia han fatto perir molti libri nell’incendio de’ collegi delle diverse cittá. Oggi la biblioteca di Taranto è la piú numerosa di libri.

Nel museo vi è un tempio. In esso però non si offrono sagrifici sanguinosi. E quindi è nata quella voce popolare che i pittagorici si astenessero dalla carne. Pittagora reputava utile avvezzar gli uomini a credere che gli iddii non amino il sangue e che non si propizino colla pompa e colla spesa de’ sacrifici, ma colla virtú e colla veritá. Sono empi egualmente, dice il nostro Platone, e colui che nega l’esistenza degli iddii, e colui che crede il loro favore potersi comperar coi doni4. [p. 50 modifica] Si narra che Pittagora, la prima volta che venne in Italia, predicasse l’astinenza delle carni. Mi hanno raccontato il ragionamento che allora fece agl’italiani, ed io potrei narrartelo.

— Che ne pensi tu di questo ragionamento? — dimandai a Mnesilla. — Io credo — ella mi rispose — che Pittagora abbia predicata la temperanza, e nulla di piú. Forse avrá predicata anche quella sua sublime legge di giustizia, die lega lutti quanti gli esseri dell’universo, ed avrá detto agli uomini che è ingiusto esser crudele col piú piccolo de’viventi. Quell’insetto, che il vento trasporta, che noi calpestiamo, che non sappiam distinguere dal fango che ci lorda i piedi, quell’insetto ha, al pari di noi, una vita ed un diritto alla vita; e tu, uomo, disprezzandolo, ti avvezzi ad esser ingiusto e crudele: prima lo sei coi bruti; a poco a poco lo sarai coi tuoi simili, coi tuoi fratelli, col padre tuo. La prima volta che il vostro popolo ateniese si tinse di sangue umano, incominciò dal condannar taluno che era veramente scellerato, ma ha finito col condannar a morte Telamene e Socrate5. Forse non è neanche improbabile che in tempi antichissimi e feroci, quando gli uomini, ancor barbari, non sapevano vivere di altro che di cacciagione, Pittagora, il quale volea trarli a quella vita civile, a cui non si perviene se non per mezzo dell’agricoltura, avrá detto loro: — Voi dunque non sapete viver senza sangue? Ed insultate per tal modo all’alma Cerere ed al padre Racco, quasi i loro doni non fossero sufficienti a sostenere la vita? E non vi batte il core, vedendo palpitar le viscere di quel giovenco, che voi avete ucciso a tradimento, mentre passava sulla strada, e che poteva esser l’utile compagno delle vostre fatiche? — Queste parole avrá dette Pittagora o qualunque altro, e le avrá rivestite dei colori piú vivi e piú atti a muover le fantasie de’ popoli. Quando si ha da fare col volgo, per colpir giusto, è necessitá mirar un poco piú alto. Il volgo, poi, della morale rammenta sempre il piú austero; perché, siccome la parte dominatrice della sua mente è la fantasia, cosí il primo di lui movente è il meravi[p. 51 modifica]glioso. Io posso dirti, e tu stesso lo hai osservato, che Archita e Clinia mangiari carne. Troverai, al contrario, qualche pittagorista che se ne astiene. Epicaride crede che il divieto s’intenda solamente della carne degli animali viventi, e, per non romper il divieto, egli uccide prima i cani e poi se li mangia6. Cosí il mirabile tocca ben presto l’assurdo ed il ridicolo. —

Questo mi disse Mnesilla sull’uso delle carni.

So che taluni pittagorici si astengono anche dalle fave. Narrasi di due. i quali, perseguitati dai satelliti di Dionisio, e non potendo salvarsi altrimenti che attraversando un campo di fave, amaron meglio esser trucidati che contaminarsi col contatto dell’odiato legume. Narrasi questo dello stesso Pittagora7. Gli accidenti, che si ripetono e si attribuiscono a varie persone, soglion per lo piú esser falsi: son come i motti che nessuno ha detto e che sono sempre attribuiti a mille.

Ho tentato saper la ragione di questo abbonimento, che molti, non tutti i pittagorici hanno per le fave. Vuoi tu udir ciò che finora ne ho saputo?

Uno mi ha detto che esse sono abborrite, perché rassomigliano alle porte dell’inferno.

Un altro: — Noi le reputiamo sacre, perché rassomigliano a quelle parti...

— Verissimo — ha soggiunto un egizio — a quelle parti di Osiride, che Tifone gettò nel mare e che tanto cercò la buona e sconsolata Iside; e perciò questo costume vien dalla mia patria, donde vi son venute tante altre cose. —

Un altro: — Non hai tu mai visto che le fave, bollite ed esposte per un certo numero di notti al chiaror della luna, diventan sangue? — Io no, mai. — E pure, credimi: la cosa sta come ti dico io. E Pittagora con quel sangue scriveva ciò che voleva su di uno specchio: lo poneva dirimpetto alla luna, e la sua scrittura si leggeva da tutti impressa sulla faccia del pianeta. La cosa non la sappiamo far più, ma è certa - ( 1 ) Alesside, ap. Ateneo, IV. (2) [p. 52 modifica]Un ateniese finalmente, il quale si ritrova qui, crede, e fermamente crede, che Pittagora abbia vietato l’uso delle fave per rispetto al popolo ateniese, il quale si serve di questo legume per dare i suoi suffragi. E costui, tra tutti gli altri, non mi sembra il piú stolto8.

Ciò, che io ho potuto saper di piú verisimile, è che questo costume sia antichissimo in Italia, ove anche oggi li sacerdoti di talune divinitá hanno divieto di toccar carne non cotta e di mangiar fave. Queste ultime è vietato finanche nominarle9. Tu sai che i sacerdoti sono in tutte le regioni i piú diligenti custodi degli usi antichissimi: essi li ritengono, quando il rimanente del popolo li abbandona, e cosí diventan misteriosi. Tal veste, che oggi rende venerabile un sacerdote, era forse la veste comune a tutti, quando fu istituito il suo sacerdozio. Chi sa donde mai questo liturgico orror per le fave sará nato? Oggi il popolo lo ammira, perché è per lui incomprensibile: lo venera, perché venera i sacerdoti, che lo ritengono ancora. Venera egualmente Pittagora. — Dunque — eccoti il ragionamento del jiopolo — dunque il filosofo non può aver permesso ciò che al sacerdote è vietato. — Tn questa disputa tu ben vedi che il filosofo è sempre il piú docile ed il piú maneggevole; né sarebbe la prima volta che alla filosofia si attribuissero cose, che la sola superstizione de’ tempi ha inventate.

  1. Così ho creduto tradurre la parola «sistema», nome che i pittagorici davano alla loro societá. Vedi BRUKER, Historia critica philosophiae, De philosophia Italica.
  2. GIAMBLICO, Vita Pythagorae.
  3. BRUKERO; FABRICIUS, Bibliotheca Graeca.
  4. PLATONE, De legibus.
  5. PLUTARCO, De usu carnium.
  6. ALESSIADE, ap ATENEO, IV.
  7. BARETHELEMY; BRUKER, Histona critica philosophiae, De secta Italica.
  8. Vedi LUCIANO, BRUKERO, BUONAFEDE, ecc. ecc.
  9. FABIUS PICTOR, ap. GELLIUM, X, 15.