Poesie (Campanella, 1915)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/11. La cagione, perché meno si ama Dio, sommo bene, che gli altri beni, è l'ignoranza

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11. La cagione, perché meno si ama Dio, sommo bene, che gli altri beni, è l'ignoranza

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11. La cagione, perché meno si ama Dio, sommo bene, che gli altri beni, è l'ignoranza
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Cagione, perché meno si ama Dio sommo bene
che gli altri beni, è l’ignoranza

     Se Dio ci dá la vita, e la conserva,
ed ogni nostro ben da lui dipende,
ond’è ch’amor divin l’uom non accende,
ma piú la ninfa e ’l suo signor osserva?
     Che l’ignoranza misera e proterva,
ch«f s’usurpa il divin, per virtú vende:
ed a cosa ignorata amor non tende;
ma bassa l’ale e fa l’anima serva.
     Qui se n’inganna poi e toglie sostanza
per darla altrui, ne’ vili ancor soggetti
ci mostra i rai del ben, che tutti avanza.
     Ma noi l’inganno, il danno (ahi maledetti!)
di lui abbracciamo, e non l’alta speranza
de’ frutti e ’l senso degli eterni oggetti.

In questo sonetto dichiara che l’ignoranza, predicata per bontá da’ falsi religiosi, è causa di non conoscer Dio né amarlo (quia «ignoti nulla cupido») piú che gli beni umani e vili. Dove amor bassa l’ale e fa l’anima schiava di cose frali, e pure in questi oggetti frali ci inganna, ché ci toglie la sostanza e ’l seme per [p. 22 modifica] generar altri: onde dicono i platonici: «subdola Venus non providet natis sed nascituris; ideo auffert ab illis substantiam, ut det his». E pur in questo amor basso carnale Dio ci mostra gli suoi raggi, ch’è la bellezza, detta «fior della bontá divina», che ci leva di sembianza in sembianza a cognoscer il sommo bene. Ma noi, stolti, piú presto attendiamo al danno e l’inganno, che ci fa amore, che alla speranza delli oggetti eterni, che ci porge la beltá; e come le bestie non pensano all’immortalitá, dove tende amore, ma al gusto, che ci fa languidi, ci toglie gli spiriti, ci ammala e consuma, non sapendo ch’è un presaggio del gusto vero ed ésca per poterci ingannare; per la qual cosa ci mugne Dio amore a far un cacio di nuovo uomo: «Sicut lac, mulsisti me», dice Iob.