Poesie (Campanella, 1915)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/76-77-78-79. Dispregio della morte

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76-77-78-79. Dispregio della morte

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76-77-78-79. Dispregio della morte
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Quattro canzoni
Dispregio della morte

CANZONE I

madrigale 1

Anima mia, a che tanto sconforto?
forse temi perir tra immensi guai?
Tema il volgo. Tu sai
dirsi morir chi fuor del suo ben ’giace.
Se nulla in nulla si disfa giammai,
non può altronde, chi a sé pria non è morto,
morte patir o torto,
né temer guerra chi a se stesso ha pace.
Non ti muova argomento altro fallace.

Se ente alcuno non s’annicchila, bisogna dire che la morte sia mutazione; e che morto è ’n veritá chi star fuor del bene a sé conveniente, e non chi è mutato in altro ente.

madrigale 2

Se nativa prigion te non legasse,
legar non ti potria l’empio tiranno,
ch’e’ non può far tal danno
a’ sciolti venti, agli angeli, alle stelle.
Solo a lui male i suoi tormenti fanno,
ma a te ben, come se ti liberasse,
o ti risuscitasse,
chi da sepolcro o da prigion ti svelle;
ché l’uno e l’altro son l’umane celle.

Il tiranno fa torto, ma non male, anzi ti sprigiona o risuscita; peroché il corpo è prigionia, secondo san Paolo e Trismegisto, e carcere oscuro. E perché siamo carcerati nel corpo, possono [p. 140 modifica]gli uomini carcerarsi ancora. Onde i venti e gli angeli non possono da noi essere carcerati. Talché non deve temersi il morire, ma stimarsi fine di prigionia e di morte, ecc.

madrigale 3

Dentro il gran spazio, in cui lo mondo siede
tutto consperso di serena luce,
che ’l sommo Ente produce,
e di vive magion lucenti adorno,
dove han gli spirti repubblica e duce,
in libertá felice; sol si vede
nera la nostra sede.
Dunque de’ regni bianchi, ch’ella ha intorno,
fu a’ peccatori esilio e rio soggiorno.

Il mondo è tutto luminoso, e tutte le stelle in lui lucono, e sono stanze di angeli o di loro repubblica; e fra queste stelle solo la terra si vede in mezzo nera. Dunque questa terra è il carcere dei demòni e dell’anime; e non fu fatta da Dio lucente per tal fine.

madrigale 4

Il centro preme in sempiterna morte
sotto ogni pondo i piú rubbelli; e ’l giro
or letizia, or martiro,
or tenebra ed or lume al mondo apporta,
che i propri dal comun carcer sortîro;
né, quindi uscendo, in nulla son corrotte.
Ma chi scende alle grotte,
tornar non può, perché ivi al doppio è morta;
e chi va in alto, al carcer odio porta.

I demòni stanno nel centro, l’anime nella circonferenza tra il bene e ’l male, dove hanno sortito il carcere proprio, dalla terra pigliando il corpo suo, la quale è carcere comune; e però, morendo l’uomo, l’anime non muoiono. E, se bene non tornano a [p. 141 modifica]farsi vedere da noi, questo è perché quelle, che vanno al centro, sono proibite, e quelle, che vanno al cielo, odiano di tornare a ve dere i carceri e guai, ecc., se Dio non l’arma di virtú contra quelli.

madrigale 5

Se lo spirto corporeo, che ’l calore
ne’ bruti e pur negli uomini ha produtto,
sempre esala al suo tutto,
né riede a noi, quantunque esca a dispetto,
ignorando ch’a gaudio va dal lutto:
viepiú la mente, che di lui men muore
tornando al suo Fattore,
poi, saggia e sciolta, fugge il nostro tetto 1:
avviso che non erri al Coro eletto 2.

1. Qui pruova a minori ad maius che l’anima de’ morti non torna al cadavero, poiché lo spirito animale, ch’esce con lutto, e si fa aria, pur non vuol tornare. 2. La bruttezza della terra fu avviso alli angeli che non errassero, se al suo centro non volean venire; e cosí è pure mò a noi.

madrigale 6

È tutto opaco il corpo, che ti cinge,
e sol ha due forami trasparenti;
né in lor le cose senti,
ma sol le specie, e non qua’ son, ché l’onda
le fa, il cristallo e ’l corno differenti,
che ’l lume che le porta altera e tinge.
Né pur tuo specchio attinge
a veder, l’aria sottil, che ’l circonda,
né gli angeli, né cosa piú gioconda.

Dice all’anima che il carcere suo è tutto opaco, e solo ha due forami trasparenti, che sono gli occhi, pe’ quali neanche le cose si veggono, ma le immagini, entranti con la luce di lor tinta, e di piú alterata dalle tuniche degli occhi e dagli umori, cioè [p. 142 modifica]corneo, uveo, acqueo, cristallino; talché non si possono vedere come sono. Né pur vede l’aria sottile, né gli angeli, che ci stanno sempre avanti, per la grossezza di queste tuniche, ecc.

madrigale 7

Indebolite luci e moti e forze
delle cose, che batton la muraglia
del carcer che n’abbaglia,
sentiamo noi, non le possenti o dive;
perché sfarian la nostra fragil maglia.
Né virtú occulta ammetton le sue scorze,
che per noi non si ammorze:
poche sembianze e di certezza prive
solo ha chi meglio tra noi parla e scrive.

Vuol dire che le cose manifeste a noi sono occulte, perché non siamo atti a sentir la luce del sole possente, né gli moti del cielo, né la possanza del fuoco senza consumarci, e molto meno di Dio e degli angeli. Né pur sentiamo le virtú occulte e deboli delle erbe, perché non possono arrivare a muover lo spirito serrato in tante scorze del corpo, pria che per noi si ammorzino, cioè che si possano far sentire. Dunque il saper de’ piú savi consiste in alcune sembianze, non nelle cose; e quelle, prive di certezza, perché mostrano poco e quasi di lontano e per mezzi grossi del corpo.

madrigale 8

Qual uomo a volo non vorria levarsi,
o piú saltar a giugner? Ma noi lascia
questa di morti cascia.
Va col pensiero a piú parti del mondo,
dove esser brama; ma la grossa fascia
non vuol che vada, né possa internarsi.
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
Dunque tien l’alma il tenebroso pondo:
l’allegrezza, i desiri e i sensi in fondo.

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Ogni uomo vorrebbe arrivar col corpo dove va col pensiero, né può internarsi dentro le cose a saperle. Dunque ci proibisce il corpo il sapere e ’l ben desiderato. Il perché e’ ci fa male tanto; e non lo conosciamo, desiderando vivere in lui, ecc.

madrigale 9

Di’: come al buio hai tu distinto l’ossa?
i nervi soprasteso alle giunture?
tante varie testure
di vene, arterie e muscoli formasti,
le viscere, le fibre e legature?
come il bodel si piega, stringe e ingrossa?
come, di carne rossa
vestendo il tutto, la testa scarnasti?
come il caldo obbedia? come il frenasti?

Se l’alma non sa come s’è fabbricato il corpo, né come fece tante membra a tanti usi, né come si frena il calore, ecc., è segno ch’essa non fece il corpo.

madrigale 10

Non mi risponder quel ch’impari altronde
e nell’anatomia, ché non è tuo
cotal saper, ma suo,
di chi t’avvisa: e pur t’inganni spesso,
come n’hai sperimenti piú che duo.
Or, se in te ignori ciò che ’l corpo asconde,
e in altri spii; risponde
non essere, a chi al buio sta, concesso
veder che fa, né il luogo, né se stesso.

Dice che l’alma non deve rispondere a tal dimanda, per quello ch’impara di fuori, che non è suo sapere di quel che fa dentro a sé. Il che s’ella l’ignora, ignora se stessa, non sapendo che cosa è anima, né come sta nel corpo. Deve confessare che sta in [p. 144 modifica]carcere oscuro; e, perché chi sta all’oscuro non vede se stesso, né il luogo dove sta, né quello ch’esso fa, cosí l’anima ignora sé e ’l corpo, e l’opere sue proprie, che fa in lui, ecc.

madrigale 11

Pur, se ’l vario nutrir t’ha fatto porre
la fabbrica in obblio, di’ mò: in che modo
il nutrimento sodo
all’ossa tiri, ad a’ nervi il viscoso,
ed agl’impuri vasi feccia e brodo?
Come odi, e vedi, e pensi, quando a scòrre
ten vai nell’alta torre?
Di’: il respirar, e ’l polso stretto e ondoso?
Come dai al spirto fatica e riposo?

Non può dir l’anima che si scordò della fabbrica del corpo per la fatica del nutrimento, poiché neanche sa dire quello ch’essa fa in nutrire il corpo, e come seguestra il puro dallo impuro, e tira ad ogni membro quel che fa per sua sostanza, né come si respira o si dorme o si vigila. Dunque, ecc.

madrigale 12

Tu non sai quel che fai, ch’altri ti guida,
come al cieco chi vede apre ’l cammino.
Il tuo carcer sí fino
per tu’ avviso e suo gioco il Sir compose.
Libera hai volontá, sol don divino,
per meritar, pigliando scorta fida,
no’ Macon, Cinghi o Amida,
ma chi formò tua stanza e l’altre cose,
e perché prezzi il ben, tra guai ti pose.

Dunque si conchiude che l’anima è guidata d’altri, come il cieco nell’opere sue. E ch’altri gli fabbricò il corpo, e ch’ella è soggetta in tutto, e solo libera di volontá per meritare, se scerrá [p. 145 modifica]la legge di Dio per scorta, o non quella di Macone, di Cinghi e d’Amida e di simili legislatori falsi. E però fu carcerata a operare, e non per pena sola, come pensò Origene. Vedi l’Antimacchiavellismo.

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CANZONE II

Del medesimo tema

madrigale 1

Quante prende dolcezze e meraviglie
l’anima, uscendo dal gravante e cieco
nostro terreno speco!
Snella per tutto il mondo e lieta vola,
riconosce l’essenze, e vede seco
gli ordini santi e l’eroica famiglia,
che la guida e consiglia,
e come il primo Amor tutti consola,
e quanti mila n’ha una stella sola.

Quel che l’anima vede e conosce uscita dal corpo, contra quelli che nel corpo la fanno piú scienziata.

madrigale 2

Questo, ch’or temi di lasciar, albergo
tanto odierai, che, se: — Di ferro e vetro
per non sentir ferètro
né scuritá né doglia — Dio dicesse, —
tel renderò, ed in lui torna; — a tal metro,
crucciata del voler, voltando il tergo:
— In pianto mi sommergo —
risponderesti; salvo se ’l rendesse
tutto celeste, qual Cristo s’elesse.

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Che l’anima, uscita dal corpo, non vuol tornare in lui, benché gli fosse fatto duro qual ferro e trasparente qual vetro, per non sentir morte né oscuritá; e solo vorrebbe riaverlo, se fosse fatto glorioso, come quello di Cristo risorgente: perché cosí non sarebbe all’alma impedimento, ma fregio, ecc.

madrigale 3

Mirando ’l mondo e le delizie sacre
e quanti onor a Dio fan gli almi spirti,
comincerai stupirti
come Egli miri pur la nostra terra
picciola, nera, brutta e, piú vo’ dirti,
dove ha tante biastemme orrende ed acre,
che par che si dissacre;
dove sta l’odio, la morte e la guerra;
e l’ignoranza troppo piú l’afferra.

Che l’alma, scarcerata dal corpo, si stupisce come Dio tenga conto della terra nostra, avendo tante letizie divine in cielo, ecc., e qua tante bruttezze e peccati, ecc.

madrigale 4

Vedrai pugnar contro la terra il cielo,
e ’l caldo bianco e la freddezza oscura,
e che d’essi Natura,
per trastullo de’ superi, ne forma
vento, acqua, pianta, metal, pietra dura;
del ciel scordarsi il caldo, e contra ’l gelo
vestirsi terren velo,
e come a suo’ bisogni la conforma;
e che doglia e piacer gli enti trasforma.

Che l’alma sciolta vede la pugna degli elementi, e come la Natura forma di essi tanti corpicelli per trastullo de’ superi, e come il caldo resta nel suo contrario a semenzire. E come la trasformazione è guidata dall’amore e dall’odio, ma non nel modo d’Empedocle, ma della Metafisica dell’autore.

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madrigale 5

Possanza, Senno, Amor da Dio vedrai
partecipar il tutto ed ogni parte;
ed usar la prima arte
necessitade, fato ed armonia;
per cui tanta comedia orna e comparte,
Iddio rappresentando giuochi gai;
e divin fiati e rai
(che son l’anime umane) a’ corpi invia
per far le scene con piú leggiadra.

L’alma sciolta vede anche la dependenza- degl’influssi magni dalle primalitá; e come il Primo Senno ordina la comedia universale con tante maschere di corpi, e, per nobilitare le scene, ci traveste le alme immortali umane.

madrigale 6

Fia aperto il dubbio, che torce ogn’ingegno,
perché i piú savi e buoni han piú flagelli,
e fortuna i piú felli.
Ché Dio a que’ die’ le parti ardue del gioco,
per trarli a maggior ben da’ lordi avelli;
e del suo mal goder lascia chi è degno.
E n’ho visto pur segno,
piú indotti e schiavi e impuri amar non poco
l’error, la prigionia e l’infame loco.

Risponde alla domanda di Epicuro e di tutti savi e di David e Ieremia: — Perché Dio dona travagli a’ buoni e fortuna a’ rei, — dicendo ch’a quelli diede la parte piú ardua della comedia universale per premiargli poi, ed a questi lascia godere questa vita, perché è morte e degna di loro; e si pruova per esempio de’ vili, schiavi e carcerati, che si vendono piú volte, in galea, e non sanno vivere altrove, e godono di tal vita impura.

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madrigale 7

Il giuoco della «cieca» per noi fassi:
ride Natura, gli angeli e ’l gran Sire,
vedendo comparire
della primera idea modi infiniti,
premiando a chi piú ben sa fare e dire.
Se i nostri affanni son divini spassi,
perché vincer ti lassi?
Miriamo i spettator, vinciam le liti
contra principi finti, travestiti.

Come tra gli uomini e le cose basse si fa il giuoco della «cieca» e si travestono l’idee in varie fogge, e ride Dio e la Natura e gli angeli, e preparano premio a chi piú sa ben fare e dire. E non ci è risposta piú acuta di questa tra savi. Dunque solo i nostri affanni sono giuoco di Dio, e sperano premio, ed è stoltizia fuggirgli tanto.

madrigale 8

Il carcere, che ’n tre morti mi tieni
con timor falso di morir, dispreggio.
Vanne al suolo, tuo seggio,
ch’io voglio a chi m’è piú simile andarmi.
Né tu se’ quel che prima ebbi io, ma peggio,
che sempr’esali, e rifatto altro vieni
da quel che prandi e ceni:
onde è lo spirto tuo nuovo ogn’or, parmi.
Or perché temo in tutto io di sbrigarmi?

Si risolve sprezzare il corpo, che ci tiene in tre morti con timor di morir falso. E poi non è lo stesso corpo in cui fu posta l’alma, perché sempre altro si perde esalando, altro si rifà del cibo: e cosí lo spirto animale ancora. Però è pazzia far tanta stima di questo nostro vivo male, ecc.

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78

CANZONE III

Del medesimo tema

madrigale 1

Piangendo, dici: — Io ti levai, — mia testa;
le man: — Scrivemmo; — i piè: — T’abbiam portato.
Dispregiarne è peccato.
Di piú, te il dolor stringe, e ’l riso spande;
ti prende obblio ed inganno, ché se’ un fiato,
e la puzza greva, odor cresce e desta,
che sparso in aere resta;
perché noi, gloria, Venere e vivande
sprezzi, ove certo vivi, e molto e grande?

Dopo la risoluzione di abbandonare il corpo, fatta nella canzone precedente, qua risponde in favore del corpo o di ogni membro: che sia peccato sprezzar tanto buon compagno; e poi gli vuol mostrare ch’essa sia un fiato mortale corporeo, poiché il riso e la doglia lo mostrano, e la puzza ch’aggrava lo spirito, e l’odor che lo cresce e sveglia. Però par bestialitá sprezzare il corpo, ove si vive certo e ci è gusto e gloria, per un’altra vita, incerta, ecc.

madrigale 2

— Compagno, se in obblio le doglie hai posto,
quando di terra in erba e in carne sei
fatto di membri miei,
pur questa obblierai, ch’or ti martira,
di farti terra; e poi godrai di lei.
Per farne altri lavori ha Dio disposto
disfare il tuo composto;
ma in tutto il Primo Amor dolcezza spira.
Poi sarai mio, se ’l tutto al tutto aspira.

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Risponde l’anima al corpo, consolandolo che, se gli dispiace tanto il morire e scompagnarsi di lei, pur altre volte fu morto e trasmutato: quando si fece di terra erba, e d’erba cibo, e poi carne degli membri umani; ed in tutte queste trasmutazioni ha sentito dolore: perché ogni cosa sente. E, se di tal dolore s’è scordato, gli dice che pure si scorderá di questo, ch’averá della separazione sua. E che, fattosi terra, goderá poi d’esser terra, come ogni ente del suo essere. Poi lo consola che sará riunito nel fine del mondo, poiché ogni cosa desidera il suo tutto, e l’uomo tutto è in anima e corpo; onde si pruova la resurrezione.

madrigale 3

S’or debbo a ciò che fosti e sarai mio,
porterò un monte: ma, l’Arte soprana
quando ti trasumana,
staremo insieme: né pensar ch’io tema
disfarmi in nulla, o in cosa da me strana.
L’animal spirto, in cui involto sono io,
prende inganno ed obblio,
ed io per lui: quando egli cresce e scema,
patisco anch’io, ma non mutanza estrema.

In questo madrigale segue a rispondere che l’alma non è obbligata al corpo, perché, se quanto fu e sará suo corpo deve ella prezzare, sarebbe bisogno portare un monte grandissimo; perché, mangiando, nuove particelle si aggregano al corpo, ed altre esalano. Talché ella non può tutto quello, che fu suo, seco avere, ma quanto l’Arte divina risusciterá: vide divum Thomam, in tertia parte [S. th., Suppl., q. 81]. Poi risponde all’argomento fatto contra la sua immortalitá, dicendo che le passioni predette sono, nello spirito, corporeo veicolo della mente da Dio infusa, e non nella mente, se bene essa ne partecipa da lui, ecc.

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madrigale 4

Desir immenso delle cose eterne
e ’l vigor, per cui sempre alto piú intendo,
e terra e ciel trascendo,
se nulla eccede di sue cause il fine,
mostran che d’aria e dal sol non dipendo,
né di cose caduche, ma superne.
Ecco che mi discerne
da te, ch’ami e sai solo il tuo confine;
e pur gran pruove d’altre alme divine.

L’intendere ed appetere l’infinito mostrano che l’anima non dipende dagli elementi, perché nessun effetto si leva sopra la sua causa, e che abbia origine da ente infinito immortale. E pur le sperienze de’ santi e la religione vera comprovano lo stesso, ecc. Nota che l’alma parla al corpo ancora, e gli fa questi argomenti, e ch’essa non è qual lui, ecc.

madrigale 5

La morte è dolce a chi la vita è amara;
muoia ridendo chi piangendo nasce;
rendiam queste atre fasce
al fato omai, ch’usura tanta esige,
ch’avanza il capital con tante ambasce.
L’udito, i denti vuol, la vista cara.
— Prendi il tuo, terra avara,
perché me teco ancor non porti a Stige. —
Beato chi del tempo si transige!

Chiaro e stupendo detto dell’anima risoluta a morire, come rende il corpo alla terra ed al fato, ch’egli cerca l’usura della vita che imprestò al corpo: or vuole doglie, or l’udito, or la vista, ecc.; e questa usura avanza il capitale. Vedi l’Axioco di Platone.

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madrigale 6

— Tu, morte viva, nido d’ignoranza,
portatile sepolcro e vestimento
di colpa e di tormento,
peso d’affanni e di error laberinto,
mi tiri in giú con vezzi e con spavento,
perch’io non miri in ciel mia propria stanza,
e ’l ben ch’ogn’altro avanza:
onde, di sua beltá invaghito e vinto,
non sprezzi e lasci te, carbone estinto. —

Epiteti proprissimi del corpo; e contra le sue lusinghe e timori resoluzion veracissima dell’alma, che gli parla.

79

CANZONE IV

Del medesimo tema

madrigale 1

Filosofia di fatti il Senno vuole,
che l’ultime due tuniche or mi spoglia,
ch’è del viver la voglia
e d’aver laude scrivendo e parlando.
Doglia è lasciarle. Ma smorza ogni doglia
chi nella mente sua il gran Senno cole,
seco vuole e disvuole,
di lui se stesso in se stesso beando.
Onor non ha chi d’altri il va cercando.

Mostra in questo madrigale primo, che il Senno, di cui è amor la filosofia, non vuole parole solamente, ma fatti; e che per operar bene e sprezzare i guai e la morte, è necessario spogliarsi [p. 153 modifica]del desiderio della vita e della gloria, che sono le due ultime tuniche, che lascia il filosofo, secondo Platone; e però chi di queste è spogliato, ogni travaglio piglia a bene, e la morte stessa. Onde in tal contentezza diventa beato, volendo e disvolendo con Dio ciò ch’adiviene.

Conchiude che il vero onor è dentro la coscienza, e chi si conosce buono e savio, non cerca l’onor d’altri, che dicano ch’egli è buono e savio, poich’esso lo sa, e Dio e gli angeli. Dunque, gli ambiziosi sono senza onor proprio sempre.

madrigale 2

Se fusse meglio a tutto l’universo,
alla gloria divina ed a me ancora,
ch’io di guai fosse fuora,
liberato m’avria l’Omnipotente;
ch’astuzia e forza contra lui non fôra.
Tiranno, incrudelisci ad ogni verso;
sbrani e mangi il perverso:
ché non è mal lá dove Dio consente.
Non doni legge al medico il languente.

Vero argomento che, se non viene cosa senza Dio, il carcere di esso autore sarebbe giá finito: perché contra Dio non può la violenza ed astuzia di quelli, che lo tenevano carcerato in una fossa, dove fece queste quattro canzoni. Però si risolve voler la morte, se a Dio piace. I guai sono medicina. E ch’egli, infermo, non deve dar legge a Dio, suo medico.

madrigale 3

Empio colui non sol, ma ancora stolto,
che, ’n croce giubilar Piero ed Andrea
veggendo, e che si bea
Attilio ne’ tormenti e Muzio e Polo,
non sa avanzar la setta epicurea,
che sol piacer ha del piacer raccolto;

[p. 154 modifica]

traendo gaudio molto,
pur come fan gli amanti, anche dal duolo;
ché ’l primo Amor ci leva a tanto volo.

Non solo eresia, ma pazzia pare che l’uomo, vedendo tanti santi ed eroi godere degli tormenti ed eternarsi in Dio e nella fama, non sa far lo stesso nell’occasione, e pigliar allegrezza anche dagli affanni, come gli apostoli: e gli innamorati godono patir per la lor diva. Dunque l’amor divino piú ci alza a questo gaudio, anche ne’ travagli. Onde si condanna Epicuro e ’l macchiavellismo, che non sanno cavar piacere e gaudio dagli affanni, ma solo dalle prosperitá; come le bestie, le quali deve avanzar l’uomo savio, ecc.

madrigale 4

Fuggite, amici, le scuole mondane;
alto filosofar a noi conviensi.
Or, c’han visto i miei sensi,
non piú opinante son, ma testimonio,
né sciocche pruove ho di secreti immensi.
Giá gusto quel che sia di Cristo il pane.
Deh! sien da noi lontane
quelle dottrine, che ’l celeste conio
non ha segnato; ch’io vidi il demonio.

Richiama gli amici alla scuola di Cristo, poiché egli ha conosciuto per esperienza esser vero l’altro secolo dopo la morte, ed ebbe molte visioni manifeste al senso esteriore, e gli demòni lo travagliarono e vollero ingannarlo, fingendosi angeli. Ed allora fece questa canzone, e si dedicò tutto alla religione vera. E predica agli altri che la sua sperienza è vera, e non di femminella né d’uomo deluso, ma di filosofo, ch’andò investigando questa veritá, ed allora scrisse l’Antimacchiavellismo.

madrigale 5

Credendosi i demòn malvagi e fieri
indiavolarmi con l’inganni loro,
benché con mio martoro,

[p. 155 modifica]

m’han fatto certo ch’io sono immortale;
che sia invisibil piú d’un consistoro;
che l’alme, uscendo, van co’ bianchi e neri,
e co’ fallaci e veri,
a cui piú simil le fe’ il bene e il male,
che piú studiamo in questa vita frale.

L’utilitá, la quale e’ cavò d’aver vistogli diavoli e trattato con esso loro, è ch’egli s’accertò che ci sieno anche degli angeli ed un’altra vita; e che però trattano con gli uomini, perché alla schiera de’ buoni o rei ha l’uomo d’aggregarsi dopo la morte, secondo a chi si fece simile di loro con le operazioni buone e rie. Appartenghiamo dunque ad un’altra vita. Se no, perché tratterebbono con esso noi?

madrigale 6

Altri spinge a servir Dio vil temenza,
altri ambizion di paradiso,
altri ipocrito viso;
ma noi, ch’è Primo Senno e Sommo Bene
amabile per sé, tenemo avviso,
a cui farci conformi è preminenza,
bench’avessimo scienza
che n’abbia scritti alle tartaree pene.
Nel Primo Amor null’odio por conviene.

Che, datosi l’uomo al culto divino, non deve servir Dio per timore dell’inferno né per amor della gloria ch’aspetta; che questo servire è vile, di schiavo o di mercenario, secondo che dice san Bernardo. Ma deve servire a Dio perché è Sommo Bene, degno di sommo amore; e queste speranze debbono essere seconde, e non prime, secondo l’intenzione. E, se pure pensassimo andare all’inferno, e lo sapessimo, dovremmo servire a Dio, perché questo è il vero paradiso: se ben pure schifiamo l’inferno; perché chi s’accosta al Sommo Bene, non può cadere in male.

[p. 156 modifica]

madrigale 7

Chi dagli effetti Dio conoscer brama
per seco unirsi e lodarlo, sia certo,
come in me sono esperto,
delle sue colpe segreto perdono
conseguisce e scienza dell’incerto.
Dio osserva la pariglia: ama chi l’ama,
e risponde a chi il chiama.
Odia, disprezza il mal, sendo uno e buono;
chi a lui si dona, lo guadagna in dono.

Conchiude quel che ha provato, che Dio perdona i peccati e l’esaudisce, ed invocato risponde, ed insegna con piú amore che il padre, è piú presto che li diavoli. E che noi non siamo intesi né veggiamo, perché trascuriamo il suo culto, e non lo chiamiamo per ben nostro e per vero amore, né ci diamo in tutto e per tutto a lui. Ma chi si dá a Dio, guadagna Dio e se stesso

madrigale 8

Se mai fia ch’uomo ascolte
queste sotterra ed in silenzio nate
rime mie sventurate,
pria che nascan, sepolte;
pensier muti e costume;
ch’io non ragiono a caso;
ma sperienza e Nume
e legge natural m’hanno persuaso.

Nel prender commiato dice che queste rime sono fatte in una fossa, e però sepolte avanti che nate; ed esorta le genti a mutar vita e sospetto, perché non si è mosso a parlar cosi, se non per esperienza, e per Nume divino che l’ha insegnato, e per ragion naturale filosofica; ed assicura tutti del vero.