Poesie (Fantoni)/Odi/Libro I/XXXVI. A Glicera

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XXXVI. A Glicera

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XXXVI

A Glicera

(1789)

          Sudando infaticabile,
altri ricchezze aduni, altri possegga
di molti aviti iugeri
fertil terreno e a mille buoi provvegga.

     5A me piú breve spazio
basta di terra, ove tranquillo io resto,
e, agli avi miei dissimile,
con ingegnosa man poto ed innesto.

     Bacco, Pomona e Cerere
10ridono ai voti miei, m’invita il rivo
al sonno, e mi difendono
e l’aure e l’ombre dall’ardore estivo.

     Ritorna il verno; fischiano,
spogliando i boschi, procellosi venti;
15e i campi e i tetti coprono
le date a fecondar nevi cadenti.

     Quanto, se stride il turbine,
dolce è l’amica consolar che pave!
e nelle notti gelide
20stringerla al caldo sen quanto è soave!

     Piú perle in mar non nascano,
tutto l’argento e l’òr struggasi e pèra,
pria che d’ingiuste lagrime
bagni, per mia cagion, gli occhi Glicèra.

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     25Tu dèi, Laudon, intrepido,
sudar fra le armi e preparar catene,
onde tornar di spoglie
carco dall’Istro alle viennensi arene:

     me prigionier ritengono
30di fanciulla gentil chiome tenaci.
E son beato premio
della mia servitú liberi baci.

     Non curo gemme inutili,
non la fama e gli allòr della vittoria:
35tu sei, Glicèra amabile,
la mia sola ricchezza e la mia gloria.

     Te mirerò con languidi
sguardi di vita nell’estremo istante,
e spirerò stringendoti
40con moribonda man la man tremante.

     Tu piangerai, lagnandoti
di tua sventura, al mio ferétro accanto,
e fra gli amplessi teneri
mescerai, non sentita, i baci al pianto.

     45Sì, piangerai; le viscere
non hai di ferro o di macigno il cuore;
e amanti, spose e vergini
piangeranno pietose al tuo dolore.

     Deh! l’ombra non offendere
50del tuo fedel, perdona al crin disciolto,
al sen scoperto, al candido
collo e al bagnato, impallidito volto.

     Ma uniamo intanto i facili
amor, finché ride propizio il fato,
55finché ci giova mescere
risse agli scherzi e di goder ci è dato.

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     Verrá, di folte tenebre
coperta il capo, inesorabil morte;
né, o cara, fia piú lecito
con le braccia formar dolce ritorte.

     In seno a te son placido
anch’io guerriero, e il crin di mirto ho cinto;
so anch’io pugnare e vincere,
e far che applauda al mio trionfo il vinto.

     Son la mia preda docili,
ripetute carezze. Abbiasi il Russo
e il congiurato Austriaco
quel che d’Affrica e d’Asia aduna il lusso;

     ricchi e temuti riedano
alle terre natie: teco, contento
nei campi miei, dispregio
gradi e tesor, né povertá pavento.