Poesie (Fantoni)/Sciolti/V. Al marchese di Fosdinovo

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V. Al marchese di Fosdinovo

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V. Al marchese di Fosdinovo
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V

Al Marchese di Fosdinovo

Carlo Emanuele Malaspina

     Metá dell’alma mia, lunense amico,
cui tutti del mio cuor svelò gli arcani
sinceritá con le ridenti labbra,
Carlo, tu sai se, dell’intatte muse
5puro ministro, di mentita lode
giammai sparsi i miei carmi, o fra ’l mendico
garrulo stuolo del venal Parnaso
sedetti, lusingando, umil cantore
alla mensa dei grandi. Alla mia cetra
10presiede ignuda veritá, la fama
non menzognera con l’eterne penne
la ricopre ridendo, e il suon che rende,
seguendo l’odi non frequenti, è sacro
a Fillide, agli amici ed agli eroi.
15Candido figlio di lontana terra,
spinto dal fato su l’amena sponda
ove da Mergellina in mar si specchia
l’oziosa Partenope beata,
de’ tuoi pregi al minor liberi versi
20vuol ch’io tessa, Agatirso; ed io, che certo,
favellando di te, son che non posso
contaminar la puritá degl’inni,
servo al vero, all’amico ed a me stesso.
Taccian coloro, il cui maligno orgoglio
25sprezza l’arte di Roscio, e folle insulta
di Garrick alla gloria. Uno di Tullio
fu l’amico e il cliente, e ne’ suoi fasti
libera Roma cittadin lo scrisse:
caro fu l’altro sul guerrier Tamigi,
30di servitú nemico, al volgo e ai saggi;
e allor che gli occhi e la feconda lingua

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muti li rese il freddo gel di morte,
la non facile al pianto Anglia lo pianse,
e ove i regi e gli eroi britanni han tomba
35or dorme illustre a Shakespear accanto.
Scorse son nove lune, io stesso, io vidi
del borbonico Tito entro la reggia,
cui non lungi il Volturno irriga i campi,
le crescenti alla fama elette figlie
40della madre di un regno il molle piede
calzar del grave sofocleo coturno.
Allor colei, che la cecropia Atene
nel tragico invocò primo cimento,
fra le vendicatrici ombre di morte,
45le colme di velen tazze nefande,
d’Argo obliò le infami orride cene,
l’nultrici furie ed i puniti incesti,
e fra l’orror dell’accigliata fronte
d’ignota gioia balenolle un raggio.
50Or Talia, tua mercé, prima dolente
che rapito le avesse il prisco onore
la lusinghiera Euterpe, in man riprende
la maschera e in ridente atto soave
le ancor umide luci al ciel rivolge.
55Cosìcred’io che sollevasse il capo
dal ricolmetto mal velato seno
la piangente d’amor bruna Nigella,
quando dall’Arno mio Licida il biondo
al Sebeto natio fece ritorno.
60Compì l’opra gloriosa e con l’esempio
delle miserie altrui l’incauta addestra
debole gioventú; sferza, ridendo,
il multiforme vizio, e su le labbra,
che di minio colora il terzo lustro,
65di due vezzose verginelle rendi
ne’ suoi precetti la virtú piú bella.
A te solo tal gloria oggi riserba
quel fra i destini che d’Italia ha cura;
ora che in Zola, pria ridente asilo
70delle muse, dell’arti e dei piaceri,
il felsineo Molièr vedovo siede

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fra pochi amici nell’orror del lutto.
Dalla mensa sorgea, quando, riscosso
dal suon dolente d’improvvise strida,
75si schiuse il varco alla vicina stanza.
Stava la sposa semiviva, gli occhi
torcea velati di pallor di morte;
con la sinistra sostenea le membra
divincolanti, e con la destra il ferro
80nello squarciato sen premea morendo.
Incontro al genitor gridando corse,
tendendo al ciel le pargolette palme,
la figlia, e lorde avea le vesti, e il volto
tinto dai spruzzi del materno sangue.
85All’atroce spettacolo funesto
ei fissò muto su la figlia il guardo,
sospirò, vacillò, piegossi e cadde
dei servi suoi fra le pietose braccia.
Riscosso alfin dal suo letargo, or piange,
90il passato rigor detesta, il fato
chiama tiranno e, benché sia innocente,
teme i sospetti dell’etá future.