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Poesie (Parini)/VII. Odi/XVI. Sulla chinachina

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XVI. Sulla chinachina

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XVI

SULLA CHINACHINA

Oh corteccia possente, oh raro dono
che, per uman conforto,
fin dal regno degl’Inchi il mar traduce,
poiché fu tua mercé, se or salvo jo sono,
5a te fervida luce
d’eterni carmi debitore apporto;
si che in Parnaso, a gloria tua, si veggia
quanto a me sii piú cara
di questa fronda avara
10che le mie tempie inutilmente ombreggia.
Lasso! fra pochi giorni, interno foco
di febbre contumace
erasi ancor ne le mie vene accenso:
e benché un di parea lenisse un poco,
15quell’empio ardore intenso,
ah l’altro, ahimè, quanto venia piú audace !
Cosi tiranno a cui fierezza è scudo
sa incrudelir piú lento
coll’industre tormento
20onde al confronto poi torni piú crudo.
Ma tu per me fosti l’eroe che vola
in soccorso de’ buoni,
seco traendo insuperabil forza:
e tra il popol, che piagne e si consola,
25corre alla reggia, sforza
le ferree porte; e in fra le grida e i suoni
entra, e col ferro minacciando stride;
e la truce coorte,

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e i ministri di morte,
30e il fier tiranno in un momento uccide.
Tal tu venisti: e in un balen sen giacque
dal valor che t’inspira
la mia febbre tiranna oppressa e spenta.
Dolce riposo che nel sen mi nacque
35calmò la violenta
turba de’ nervi, e i fieri moti e l’ira...