Poesie varie (Angelo Mazza)/Inni e odi/XI. L'uguaglianza civile

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XI. L'uguaglianza civile

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Inni e odi - X. A Teresa Bandettini III. STANZE
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XI

L’UGUAGLIANZA CIVILE

per l’ingresso al gonfalonierato in bologna

del conte ferdinando marescalchi.

     Quale a civil concordia
pon mano entro le chiome
genio nato d’insania,
che d’«uguaglianza» ha il nome,
e, mentre tutto agguaglia,
tutto sovverte e smaglia?

     Oh fallibil bilancia
a giusto peso iniqua!
Disuguaglianza è regola
de l’universo antiqua,
e bella appar natura
ne l’inegual misura.

     Ne la misura armonica
splende l’eterea mole;
15Cintia co’ raggi argentei,
co’ raggi d’oro il sole,
Marte infiammato, e move,
placido lume, Giove.

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     Rise l’idea de l’ordine;
20e antichitá maestra,
scòrta da lei l’artefice,
vide invisibil destra
temprante a equabil norma
moto, intervallo e forma.

     25Vide, di luce oceano,
l’astro sovran del centro
gli astri chiamar fuggevoli,
che, ripiegati indentro,
rimisurâro intera
30l’ellittica carriera.

     Vide dal loto sorgere
col volto al ciel converso
l’uom, doppio esser mirabile,
occhio de l’universo,
35perché vagheggi a tondo
e in se ricopi ’l mondo.

     Beato in ver! se, a specchio
de lo stellifer’etra,
sa ricompor l’imagine,
40che il primo geometra
lá su compone e parte
con l’ineffabil arte.

     Di musa onor non abbia
l’erratico selvaggio:
45ragion l’aborre, e sgridalo
l’interprete linguaggio,
e, innata a l’uman core,
compassione e amore.

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     Surse cittá: dissimile
50entro il confin prescritto,
valse, annodando gli uomini
non dissimili, il dritto:
l’uno dal vario nacque
(util concento) e piacque.

     55Piacque; e a’ desir moltiplici
da l’incessabil morso
sollecitava industria
il provvido soccorso,
vòlta a diversi segni
60varietá d’ingegni.

     Piacque; e girò concentriche
del comun ben sul perno
le rote ampie moltivaghe
il social governo,
65equilibrando Temi
il mezzo cogli estremi.

     Piacque; e, conforme a l’intimo,
l’esterior costume
prostrò le fronti docili
70al formidato nume,
cui la folgore e ’l tuono
stan circuendo il trono.

     Spinta dal core, ergeasi
mortal preghiera al cielo,
75ed or su l’arco il vindice
tenne scoccar del telo,
or di molle aura in grembo
traea di grazie nembo.

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     Ma che non può la tacita
80fuga limar de’ tempi?
che non impetra indomita
possa di tristi esempi?
Crebbe, usurpando al vero,
funesto error l’impero.

     85Che presagir? Sul Caucaso
sta di Giapeto il figlio;
sta sotto l’Etna Encelado:
forza senza consiglio
precipita se stessa,
90da natio morbo oppressa.

     O Marescalchi, o genio
de la tua patria degno!
Da la speranza pubblica
al riverito segno
95or che la man distendi,
al mio cantare intendi.

     A superbo edifizio
fronte si dee superba,
che, qual pomposo e fulgido
100onor dentro riserba,
faccia lontana fede
al passeggier che ’l vede.

     La degli eventi origine
e ’l corso a te non chiude
105Sofia, che il saggio illumina
ed il profano illude;
Sofia, che l’uomo atterra
se cogl’iddii vuol guerra.

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     Ma lungo dir è impaccio
110a veloci intelletti:
infinita materia
coglier da brevi detti
piace a uno spirto accenso
di misurar l’immenso.

     115Lisci l’orecchio, e l’animo
palpi d’ignara turba
ambiziosa insidia,
che ragion torce e turba
e via via move affetto
120soverchiator del retto.

     Da l’arco a me non fuggono
strali radenti ’l suolo:
son d’ale armati e levano
seco i gran nomi a volo,
125i gran nomi che han serto
d’incorruttibil merto.

     Perciò, non vile, io celebro
te di viltá nemico,
te di virtú grand’auspice,
te de le muse amico,
te de l’arti leggiadre
al par giudice e padre.

     Di lor con destro augurio
t’infuse il ciel vaghezza:
135signorilmente splendere
su lor tu fai ricchezza,
de l’uom astro verace,
quando del senno è face.

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     Guidate da le Grazie
140d’ogni decenza altrici,
al retto, al ver preparano
le industri imitatrici
i cuor, che forma han sempre
da le sensibil tempre.

     145Liba lo sguardo cupido
le imagini del bello;
varcan sentite a l’anima,
che se ne fa suggello
e idee ritesse e moti
150a volgar mente ignoti.

     Conscie di sé, né immemori
di te, l’util palestre
te pur desian perpetuo,
o dittator bimestre:
155ma il desio non ha lode,
che al successor fa frode.

     A Giove prole e a Temide,
Eunomia, Dice e Irene
partono incarchi e alternano
160veci ed onor, di bene
dispensiere a’ mortali
inegualmente uguali.