Poesie varie (Maffei)/II. Per la venuta a Roma de la regina di Polonia nel 1699

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II. Per la venuta a Roma de la regina di Polonia nel 1699

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II. Per la venuta a Roma de la regina di Polonia nel 1699
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II

Per la venuta a Roma de la regina di Polonia
nel 1699.

     O de l’oblio nimiche
Dive, che i chiari nomi in guardia avete,
d’inni adorne e di cetre oggi scendete
su queste piagge apriche.
Si degno, alto soggetto
piú non v’accese il petto.
     Sereno oltra il costume
per nuovi rai sul Tebro il di risplende;
ma qual, donna real, furor mi prende
in rimirar tuo lume?
Si gran cose i’ rammento
che a me rapirmi io sento.
     Sorse l’infido impero
e pieni d’ira a noi gli occhi rivolse,
suo spietato furor tutto raccolse
e con empio pensiero
venne, che parve alato,
d’Africa e d’Asia armato.
     L’improvviso torrente
d’alto mirando, impallidí la Fede.
Giá ruinava al suol l’augusta sede,
la gloria d’Occidente,
fra i singulti e fra ’l sangue.
     Ma in quel momento corse
il rege invitto e a lei stese la mano;
cader si vide il folle orgoglio al piano
ed ella pur risorse.
Sono i perigli estremi
de l’alte imprese i semi.

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     Padre tu de’ mortali,
odi miei voti: o non piú mai ritorno
faccian si fieri tempi, o pur se un giorno
per vibrar si gran mali
il grand’arco ancor prendi,
un Sobieschi ne rendi.
     Quanti s’udiro e quanti
émpier del nome suo l’aurata lira!
Né giá tacque di te, gran Casimira,
chi celebrò suoi vanti.
Tu a l’eccelso campione
e cote fosti e sprone.
     Però di valor tanto
vedovo ciel mirar piú non potesti;
per lungo, aspro viaggio il piè volgesti
con regio germe a canto,
né te Borea ritenne
che allor battea sue penne.
     Inarcò il ciglio il verno,
quando su l’Alpi, suo nevoso impero,
scorse da femminil sembiante altero
spezzarsi il gelo eterno.
Ma tutto vince un core,
cui non vince timore.
     Giugnesti al suol di Marte
a sparger vivi di pietate esempi.
Or mira, questi son quegli aurei tempi
cui tanto il ciel comparte;
questi che pria le audaci
temeano odrisie faci.
     Che s’ora in lieta sorte
Roma ancora di sé tant’aria ingombra,
tu festi sì che non sia polve ed ombra,
allorché il gran consorte
ne la sua fatal contesa
spignesti a l’alta impresa.