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Poeti minori del Settecento/Nota (volume I)

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Poeti minori del Settecento Indice dei capoversi (volume I)

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NOTA [p. 332 modifica] [p. 333 modifica]

Di questa scelta dei poeti minori del Settecento io non saprei come ottenere il perdono degli eruditissimi, i quali, non pure dei grandi, ma d’ogni scrittorello vorrebbero raccolte le Opere complete non solo, ma le lettere e gli atti dello stato civile, e i documenti autentici della carriera officiale e altri piú minuti particolari, il tutto (s’intende, in nome della critica severa) fiorito di errori tipografici autentici e di fantastiche ortografie.

Ma neppure quaranta volumi di queste poesie, cosi ristampate, e nemmeno le biografie delle dame o delle «ancelle», cui il Savioli o il Cerretti indirizzarono le loro canzonette, basterebbero a fare che uno «specialista» potesse dispensarsi dal rivedere a una a una le edizioni originali e le Raccolte e gli epistolari del tempo, editi e inediti. Questo gli eruditi dovrebbero intendere di certo, e intendere anche come fra gli studiosi ci sono i non specialisti; e sian pure meritevoli dell’ignominioso qualificativo di «dilettanti».

In prefazione ai Lirici del secolo XVIII il Carducci, oltre quarant’anni addietro, scriveva: «Certi nomi di questo volumetto e di quel degli Erotici dubito non paiano a piú d’uno morticini dissepolti; ma so che N. Tommaseo a un italiano il quale voleva nel Belgio dar raccolte le migliori cose degl’italiani moderni, quanto alle liriche, suggeriva che, fatta larga parte all’Alfieri al Metastasio al Pindemonte al Monti al Parini al Manzoni, scegliesse poi dal Bondi dal Cassiani dal Cerretti dal Cotta dal Crudeli dal Fantoni dal Frugoni dal Minzoni dal Mazza dal Savioli dal Vittorelli... Ciò feci; e se qualcuno altro accolsi e accoglierò per meglio rappresentare la varietá e le sfumature, le caricature anche della famiglia poetica del secolo andato, mi giova ricordare ch’io non propongo esempi di stile, si documenti della vita morale e intellettuale degli italiani in un dato tempo nell’arte». [p. 334 modifica]

In questa collezione, nella quale agli scrittori piú significativi, o anche a quelli, come il Fantoni o il Bertòla o il Vittorelli ed altri, dei quali la vastitá dell’opera lo esiga, è lasciata larga parte in appositi volumi, si trattava di riunire in una mole comportabile solo quei poeti che, o per l’estensione materiale dell’opera loro o per ragioni intrinseche, non valessero agli studiosi la spesa e la fatica di volumi a sé; e in questa scelta bisognava non indulgere ai gusti personali del raccoglitore (nel qual caso è ovvio che sarebbe stata assai meno abbondante), ma di rappresentar la tradizione letteraria secondo i giudizi e le ammirazioni dei contemporanei e dei posteri immediati.

Una difficoltá si presentava prima di tutte, ed era la disposizione: si sarebbe potuto continuare l’ordinamento adottato per la serie I, nella quale si è seguita una specie di distribuzione geografica delle colonie d’Arcadia; ma, eccetto che a Verona e in Toscana, di questo periodo che va dal 1760 alla Rivoluzione, pochissimo si ha fuor dei ducati di Modena e di Parma; con prevalenza in quello dell’ imitazione classica e sopratutto oraziana, in questo del frugonismo.

Io ho preferito seguire un ordine cronologico, pur riconoscendo quanto sia lontano anch’esso dal fornire idee ben precise: ciò tanto piú o tanto peggio, in quanto non sarebbe possibile distribuire le poesie stesse cronologicamente, senza metter capo a una inestricabile confusione; ma ho dovuto seguir la cronologia affatto esteriore della nascita degli autori.

Alla quale anche mi ha deciso il fatto che i volumi conservano una tal quale unitá di carattere: infatti in questo secondo sono (oltre le Canzoni pastorali del Pompei, un curioso strascico dell’Arcadia anteriore) quelli che in un certo senso si potrebbero dire i pariniani: Savioli, Paradisi, Cerretti; nel terzo quasi soltanto i frugoniani: Mazza, Rezzonico, Bondi, ecc. All’uno e all’altro volume ho aggiunto, quasi appendice, una scelta di minimi, i cui versi ebbero voga ai lor giorni, e per qualche tempo di poi, perché a una raccolta come questa evidentemente non potevan mancare saggi almeno dei sonetti del Minzoni e d’altri siffatti.

Su questo periodo in generale, oltre le solite Storie del Lombardi, dell’ Ugoni e Ticozzi, ristampate in continuazione del CoRNiANi, / secoli della letteratura italiana (Torino, 1856), dello Zanella e del Concari (Milano, Vallardi), vedi: Arullani, Lirica e lirici del Settecento, vari studi di Emilio Bertana nel Giorn. [p. 335 modifica]

stor. della leti. Hai., L’Arcadia della scienza (Parma, 1899), In Arcadia (Napoli, Perrella, 1909); e sopratutto le prefazioni del Carducci agli Erotici e ai Lirici del sec. XVIII, raccolte in Opere, XIX, 1-63 e 95-189. Infine M. Landau, Geschichte der Hai. Liti, in XVIII Jahrhundert (Berlin, 1899).

I

LODOVICO SAVIOLI FONTANA

(Bologna, 1729-1804).

Pubblicò, giovanissimo ancora, // Monte Liceo (alla sacra real Maestá di Carlo di Borbone, re delle Due Sicilie, ecc., Bologna, dalla stamperia di Lelio della Volpe, mdccl): una specie di romanzo pastorale, diviso in dodici prose e dodici egloghe (in terzine per lo piú sdrucciole, in versi sciolti, e quelle a monologhi anche in saffiche o in canzoni petrarchesche) ad imitazione á^W Arcadia del Sannazaro.

Nella pretensiosa eleganza, l’opera è affatto insignificante; o non significa se non quella universale e varia tendenza al ritorno alle forme antiche, che fu caratteristica di tanta parte della produzione della prima metá del Settecento.

Non fu mai ristampata.

Fortuna grandissima ebbero invece gli Amori, stampati per la prima volta nel 1758 (dodici sole canzonette, portate alle 24 definitive nella edizione che ne fu fatta in Lucca il 1765). Durante la vita dell’autore furono ristampati almeno quaranta volte e tradotti, vantano gli editori, in varie lingue (si veda A. Salza, Fanfulla d. dom., 1906, n. 14).

Io ho avuto sott’occhi l’ediz. bodoniana del 1795, la riproduzione del 1802, pure del Bodoni, la ristampa di Bassano, mdcccv, a spese Remondini di Venezia e quella del Carducci, Erotici del secolo XVIII, Firenze, Barbèra, 1868.

Le edizz. bodoniane aggiungono, agli Amori, Amore e Psiche’, quella di Bassano ha anche: la versione d’un epigramma di Girolamo Amalteo, tre brutti sonetti che ho tralasciati, i vv. Per nozze Zambeccari in Bologna, il sonetto Sul sepolcro di Dante Alighieri e Per il passaggio in Ispagna di Carlo III. [p. 336 modifica]

Queste ed altre poesíe io ho riprodotto dal testo del Carducci, Lirici del secolo XVIII, Firenze, Barbèra, 1871, del quale ho accettato il testo, pur riscontrandolo per alcune poesie su le raccolte originali: ho aggiunto dal volumetto bassanese il son. Sul sepolcro di Dante, e l’ode: O voi, leggiadra prole (xii, p. 98), che al Carducci era sfuggita e che fu stampata in Odi di Savioli, Lamberti e Monti, in occasione della festa nazionale, celebrata in Milano nel giorno 26giugno 1803, e riprodotta in Bologna (1882, tip. Azzoguidi, perle nozze Pullé-Moneta, sotto il titolo: La lirica rivoluzionaria di L. S.) con epigrammi e strofette insignificanti, che qui si omettono.

Dal Carducci credo opportuno riferire queste note:

Poesie varie, iv, v. 66 sgg,, p. 82. — «Allude alla questione famosa per il miglioramento idraulico della bassa pianura bolognese e per l’immissione del Reno nel Po, che s’agitò per quasi tutto il passato secolo tra Ferrara e Bologna».

ivi, XI, p. 96. — «Ignazio Boncompagni, della stessa famiglia che diede alla sedia pontificia Gregorio XIII, era stato giá nominato da Clemente XIII delegato apostolico con facoltá straordinarie, per mandare ad effetto tutto ciò che la Congregazione delle acque avea risoluto per l’incanalamento del Reno e pel miglioramento idraulico della bassa pianura bolognese; anche fatto cardinale, il Boncompagni seguitò a curare e provvedere a quell’amministrazione».

Sul Savioli si veda: R. Dep. di st. patria per le provincie di Romagna (1867-68, 15 marzo e io maggio), Capitoli di un commentario su la vita e le opere di L. S.

E. Carrara, Un poeta «bolognino»: L. S., in Vita italiana^ 10marzo 1897.

II

GEROLAMO POMPEI (Verona, 1 731- 1788).

Le Canzoni pastorali furono pubblicate nel 1764. E Ippolito Pindemonte n€iV Elogio del P. {Elogi di letterati italiani, Firenze, Barbèra, Bianchi e C, 1859) dice: «Bel presentarsi la prima volta al pubblico con quelle Canzoni, di cui tanta è la semplicitá, la schiettezza, il candore veramente pastorale, per tacere della locuzione, che la piú pura sembrami la piú tersa e la piú gentile». [p. 337 modifica]

Lodi singolari, che possono oggi far sorridere; ma rammirazione a quelle canzoni, accusate solo «d’aver seguilo i greci troppo da vicino», fu larghissima, e durò a lungo: le ristampe furono molte e fin nella Raccolta di poesie liriche scritte nel sec. -YK/// (Milano, Classici, MDCCCxxxii) furono riprodotte per intero.

Piú tardi il P. ne compose altre dodici, che — dice sempre il Pindemonte — «per questo son delle prime men belle, che vollero esser piú...: non ispirano tutta quell’aria d’ingenuitá e d’innocenza; piú vivacitá spiegano e piú artifizio».

Scrisse anche tragedie, V Ipermestra, la Calliroe, la Tamira^ ma nello stesso Elogio il Pindemonte fa dire al Pompei medesimo: «Io avviso restar men dietro col flauto mio da Teocrito che non col mio coturno da Sofocle».

Il testo delle Canzoni rimase immutato nelle molte ristampe. Si veda Opere di G. P., Verona, presso Marco Moroni, 1790, e Canz. post, di G. /*., Milano, Silvestri, 1820.

Molto tradusse da Teocrito, Mosco, da Callimaco, dall’Antologia. Notissima è la traduzione di Plutarco, anche questa ristampata moltissime volte: Verona, Moroni, 1772, 5 voli, in 40; Bassano, 1783; Torino, Pomba, 1828-30; Firenze, Le Mounier, 1858.

Sul Pompei: Francesco Fontana, De vita et scriptis Hier. Pompei in fronte al i voi. delle Opere, oltre V Elogio del Pindemonte citato.

Ili

AGOSTINO PARADISI

(Vignola nel Modenese, 1736-83).

Versi sciolti del signor A. P., Bologna, 1762. Son quasi tutte epistole tra sermoneggianti e didascaliche: se ne riferiscon le due al canonico Ritorni e all’Algarotti. Per la prima è da ricordare la nota di Luigi Cagnoli alla ediz. Reggio, Fiaccadori, 1827: «Appena fu noto l’autore delle Lettere virgiliane ^ il conte Paradisi levò dall’epistola alquanti versi che non si leggono nelle edizz. degli sciolti fatte in Bologna ed in Genova (Antonio Frugoni, 1795): p. es., dopo il verso:

Désti il mal provocato iniquo riso.

Poeti minori del Settecento - ii. %k [p. 338 modifica]

aveva detto da prima:

Fa’ che l’audace critico protervo infame voli per l’etá future, qual nei carmi di Fiacco e di Marone suona il putido Mevio e il vil Pantilio.

Cosi dopo il verso:

Va vincitor co’ sommi dèi confuso

eranvi altri sedici versi, che non furono inseriti nelle suddette edizioni, e questo per moderazione d’animo e per riverenza verso l’autore di quelle lettere pseudo-virgiliane».

10non sono riuscito a trovar quei i6 vv., ma in veritá mi pare mediocre perdita: tanta vana retorica s’ è scatenata poi per un secolo contro quel povero libro, che nessuno ha giudicato ancora per quel che era, cioè un episodio della lotta che ferveva in mezza Europa fra gli «antichi e i moderni». Col Bettinelli il Paradisi fu poi in lunga e rispettosa corrispondenza, come quasi tutti gli scrittori del secolo.

11Paradisi medesimo intanto aveva annotato:

Quando la presente apologia del Dante, senza saputa dell’autore, usci a luce, inserita in un pubblico giornale letterario, rimanevasi sconosciuto lo scrittore di quelle lettere pseudo-virgiliane, che hanno levato di poi tanto rumore per l’Italia. Ma seppesi poco dopo che erano opera di uno dei piú leggiadri poeti che vivano oggidí : del che molti non osavano persuadersi, non sapendo come avvenir potesse che cosi valente artefice di poesia tanto obliquamente giudicasse dei capi d’opera dell’arte. Io per me sono presso che certo che quel libero censore dell’ italiano Parnaso non per altro a ciò fare s’indusse che per vaghezza di bizzarria e di novitá. Ninna trista conseguenza poteva fra noi derivare da cosi fatti pensamenti ; ma l’ invidia, non mai indolente ove si tratti di dar mala voce all’ Italia, non ha lasciato di coglierne a disfavor nostro l’opportuno veleno: del che ponno far fede i fogli periodici del Fréron e i Giornali di Trévoux.

Del molto che egli scrisse di storia, di economia e di critica letteraria mi pare ozioso dar qui un compiuto catalogo: le cose che parvero migliori furon raccolte nelle edizz. delle Poesie e prose scelte del conte A. P., in due voli., Reggio, Fiaccadori, 1827, e Milano, Soc. tip. dei classici ital., mdcccxxx, sulle quali questa scelta è stata condotta, ampliando alquanto quella del Carducci in Lirici del sec. XVIII, pp. 35-89. [p. 339 modifica]

Dal Carducci, avendone accolto le necessarie correzioni, riferiamo queste due noticine:

IX, Inno a Romolo, v. ii: — «* É certa ornai’ leggon concordi le due edizz. La correzione ’certe’ parve necessaria*.

XVII, La parola di Dio, v. 81: — «’Abbia’ leggon l’ediz. reggiana e la milanese, e anche l’Ambrosoli che accolse questa ode nel Man. di leti, ital. Non ho potuto vedere la stampa originale, ma scommetterei che l’autore scrisse come io ho corretto».

C’è da aggiungere che, se anche le edizz. originali o magari gli autografi avessero «certa» e «abbia» , le correzioni apparirebbero pur sempre necessarie a chi non creda che la critica consista in scrupolose riproduzioni di errori tipografici o di scorse di penna.

Sul Paradisi: — l^’ Elogio di L. Cagnoli in fronte alle cit. edd. di Reggio e di Milano. Il Carducci cita un articolo di F. Ambrosoli nella Biblioteca italiana: io non ho potuto vederlo. í^eW Arch. star, lomb., 1885, p. no seg.: A. P. e V accademia mantovana. Si veda inoltre: S. Cardosi, La scuola oraziana nel ducato estense: A. /*., in Classici e neolatini, 1905, n. 2.

IV

LUIGI CERRETTI

(Modena, 1738- 1808).

Cominciò presto a scrivere (l’epitalamio per donna Isabella di Borbone, infante di Parma, che andò sposa all’arciduca Giuseppe d’Asburgo, poi Giuseppe II, è del 1760), ma pubblicò le sue rime sparsamente in raccolte, delle quali non sarebbe né facile né utile dar qui un elenco compiuto. Quando nel 1791 a Venezia furon pubblicate certe sue Cantate erotiche, veramente assai povere cose, il Cerretti scrisse su d’un esemplare: «Queste Cantate sono state pubblicate da Pepoli e non dall’autore, il quale anzi è allenissimo dallo stampare le cose sue».

Una prima edizione copiosissima fu fatta a Pisa da Giovanni Rosini, nel 1799; continuata con una Seconda serie nel 1802, ma riusci assai scorretta: seguirono le edizz. Parma, Bodoni, 1801; Pavia, Galeazzi, 1808, ristampata nel 1810. [p. 340 modifica]

L’ab. Pedroni curò una copiosa scelta, distribuita in quattro libri (Milano, De Stefanis, 1812), che fu riprodotta nella Biblioteca del Silvestri, 1822, sotto il titolo Poesie scelte del cav. Luigi Cerreta modonese (è il 2° voi. delle Opere \ il i*> contiene le Prose).

Nel 1813 il Rosini, di su gli autografi, curò un’altra edizione a Pisa. Poi, nel 1850, A. Peretti e A. Cappelli diedero una scelta in Poesie d’autori modonesi, del qual volume io ho avuto sott’ occhi una ristampa, dal titolo Parnaso modenese, fatta nel 1860.

Infine il Carducci in Lirici del secolo XVIII (Firenze, G. Barbèra, 1871) diede, pp. 91-207, una ricca scelta delle poesie del C, dividendole in tre libri. A questa io mi sono in gran parte attenuto, pure riprendendo dalle vecchie edizz. alcune cose che mi son parse curiose, come p. es. la novella: Bice e Leandro, preludio alle Novelle romantiche che imperversarono pochi anni piú tardi.

Senza rifare un’arbitraria ripartizione delle poesie in libri, ho però creduto di raggrupparle cosi: i-ix una scelta di canzonette savioliane, la cui stretta e immediata derivazione dagli Amori è evidentissima, e tre sonetti d’argomento amoroso; poi dalla x alla XVI le migliori o le meno cattive cose d’occasione, per nascite, morti, battesimi, monacazioni, ecc.; e infine dalla xvii alla xxvii le poesie di intonazione e d’intendimenti pariniani, se è lecito esprimermi cosi un po’ sommariamente, lasciando ultima la sola novella riferita fra le molte che corsero negli ultimi anni del ’700 e nei primi dell’8oo manoscritte e stampate, quasi tutte senza interesse, perché son quasi sempre sconce imitazioni delle Novelle galanti del Casti.

Dal Carducci riferisco anche queste noticine:

X, I fasti d’Imeneo, v. 70 sgg., p. 242: «Quest’ode fu riadattata a somigliante occasione dal poeta piú provetto con alcuni mutamenti. Accettati quelli dí stile, ne abbiamo lasciati altri di circostanza meno felici. Nella seconda lezione la str. Sa dice:

Tu, se pur non t’è a sdegno
suon di cantor canuto,
Dio che fra i saggi hai regno,
de’ versi miei tributo
tu sempre avrai da me.

e l’ultima:

Di novi germi aspetta
esser per te felice,
stirpe ai numi diletta,
che da regal radice
onor d’Italia usci.

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XII. Per la nascita del primogenito del conte Sanvitale, p, 247: «Eaco Panellenio era il nome arcadico del conte Iacopo Sanvitale, rimatore che ebbe a quei tempi alcuna fama, suocero della Selene, cioè della contessa Sanvitale» .

XVI. Al conte Alessandro Pepoli, p. 269: «Di questa ode abbiamo prescelto la prima lezione [Parma, 1790, col titolo: / pianti di Elicona su la tomba di Teresa Ventura Venier: contiene versi del Casti, del Cesarotti, del Monti e, oltre questa ode, due mediocrissimi sonetti del Cerretti], Il poeta poi la riadattò ad altra occasione consimile con mutazioni nelle prime stanze ed in fine. Come leggesi nell’ediz. pisana del Parnaso degli italiani viventi (1808) è un mostro di lezione non si sa donde raccozzato» .

XVIII. La filosofia morale, p. 274: «Quest’ode nell’ediz. pisana 1813 comincia altrimenti:

Dunque un delirio mi sedusse, e pago sperai l’estremo de* miei voti invano? Tutta dal cuor d’Auronte ormai l’imago dunque svani del suo fedel lontano?».

XIX. A monsignor d’Este vescovo di Reggio, p. 278, vv. 5-6: «Abbiamo prescelta la lez. della ediz. pisana 1813. Le altre leggono:

Dolce è sul mar l’imago al navigante de’ patri lari e della madre antica».

E ai vv. 49 sgg.: «* Mi sogguata ’ legge l’ediz. De Stefanis, ma nel ms. del Cagnoli tutta questa strofa è diversa:

Io forse intanto sotto fredda pietra l’eterno dormirò sonno fatale. Molt’è che morte mi sovrasta e tetra m’agghiaccia al rombo delle squallid’ale».

Non credo inutile aggiungere queste altre poche note:

XXIII. Al defunto m,archese Rangone Machiavelli, p. 288: L’ab. Pedroni avvertiva (ediz. Milano, 1812): «Nell’originale si legge la seguente nota di mano dell ’a: ’ Mori quasi nelle mie braccia in Firenze il marchese Rangone Machiavelli, l’amico il piú degno ch’io abbia avuto giammai. Otto giorni prima della sua morte mi disse le precise parole: — Cerretti caro, io fra poco cesserò di tormentare; ma un mese dopo la mia morte ninno forse ricorderassi ch’io sia stato al mondo, se non mi assicuri tu alcun luogo fra i posteri con qualche tua poesia. — Io, bagnandolo di lagrime, promisi di compiere i suoi voti ; e un anno dopo sciolsi il mio obbligo coi seguenti versi suggeritimi dal cuore *» .

E metteva conto riferirla testualmente, per dimostrar come le gagliofferie della vanitá non sono neppure d’invenzione recentissima. [p. 342 modifica]

XXV. La felicitá, p. 296, vv. 43-44: «l’amato giovin d’Ateste»: il marchese di Scandiano, figlio naturale di Ercole III duca di Modena.

XXVII. La posteritá, p. 303, v. 75: «Io dell’unico Testi». Il Testi ebbe supremi carichi nella Repubblica cisalpina. Altre copie di questa ode portano invece: «Io del candido Aminta il nome amato», sotto il qual nome era adombrato il marchese Giuseppe Rangoni.

XXIX. Bice e Leandro. Una noticina, pare dell’autore medesimo, avverte: «Il fondo di questa novella si asserisce per vero; non però accaduto lungo la Scrivia, ma sul Reno, nella ritirata di Moreau».

Subito dopo la morte del C. un G. B. Dall’olio pubblicò certi Pensieri sopra la vita letteraria e civile di L. C, una diatriba violenta, anche se non sempre ingiusta, inopportuna. Si veda ancora: Pedroni, Cenni storici e letterari sulla vita e sulle opere di L. C.y in cima al i voi. delle sue edd. delle Opere; L. Gagnoli, Notizie biogr. e lett. degli scrittori dello Stato estense, i (Reggio, Torrigiani, 1835); F. Ambrosoli, Vita del C. nel Dizionario del TiPALDo; SoLERio F., Studio critico su L. C. e le sue opere (Firenze, 1902).

V

Si aggiungono qui, quasi come appendice, saggi di poeti di minore importanza, che ebbero ai loro giorni grande fama: dal Minzoni (intorno al cui primo sonetto di questa scelta, v. l’articolo del Foscolo, Opere, x, 361-69) derivò il Monti giovine: gli altri si trovano nella maggior parte delle vecchie antologie e non è parso che potessero mancare in questa raccolta.

PELLEGRINO SALANDRI

(Reggio Emilia, 1723-71).

Non son riuscito a vedere la prima ed. dei Sonetti a Maria Vergine (una corona di tanti sonetti quante son le litanie), stampati a Milano con lo stemma dei Trasformati.

A Reggio nel 1787 usciron le Rime sacre del conte A. Paradisi e dell’ab. P. Salandri.

Per questa scelta io mi son valso della Raccolta di poesie liriche scritte nel sec. XVIII (Milano, Classici ital., 1822). [p. 343 modifica]

LORENZO FUSCONI (Ravenna, 1726-1814).

Una raccolta delle sue Poesie scelte fu fatta a Milano, 1820. Si ricorda pure qualche volta, ma non si legge piú V Asinariat poemetto in terza rima. Amico e imitatore del Frugoni, segui il modello, specialmente nei sonetti pittorici.

ONOFRIO MINZONI (Ferrara, 1735-1817).

È singolare che il Foscolo {Storia del sonetto italiano^ in Opere ^ X, 132) dica di lui: «Seguace, quanto allo stile, del suo concittadino Ariosto; però tratta i sonetti... a poche e grandi pennellate». Certo, ebbero ai loro giorni una fama incredibile e molte edizioni: io ho visto quella del Silvestri, Milano, 183 1; e la Raccolta di liriche scritte nel sec. XVIII, il cui compilatore dichiara di riprodurle tutte, perché «messe assieme con giudiziosa scelta». Allora eran concordi a lamentar che fossero poche: io dubito assai che queste che ho scelto io non abbiano a parere troppe. [p. 344 modifica]