Primi poemetti/La calandra

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La calandra

../L'albergo ../Conte Ugolino IncludiIntestazione 25 luglio 2012 100% Poemetti

L'albergo Conte Ugolino
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LA CALANDRA


i


Galleggia in alto un cinguettìo canoro.
È la calandra, immobile nel sole
3meridïano, come un punto d’oro.

E le sue voci pullulano sole
dal cielo azzurro, quando è per tacere
6la romanella delle risaiole;

e non più tintinnìo di sonagliere
s’ode passare per le vie lontane,
9chè già desina all’ombra il carrettiere.

Nè più cicale, nè più rauche rane,
non un fil d’aria, non un frullo d’ale:
12unica, in tutto il cielo, essa rimane.

Rimane e canta; ed il suo canto è quale
di tutto un bosco, di tutto un mattino;
15vario così com’iride d’opale.

Canta; e tu n’odi il lungo mattutino
grido del merlo; e tu senti un odore
18acuto di ginepro e di sapino.

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senti un odore d’ombra e d’umidore;
di foglie, di corteccia e di rugiada;
21un fragrar di corbezzole e di more.

Vai per un bosco, e senti, ove tu vada,
quei fischi uscir più liquidi e più ricchi;
24poi, come colpi da remota strada

di spaccapietre, il martellar de’ picchi.


ii


Ma no: dib dib: è il passero. Ricopre
la nebbia i campi, dove è dall’aurora
28de’ bovi il muglio e il viavai dell’opre.

Fuma la terra, fuma il cielo; ancora
fuma il camino e, tra le tamerici,
31fuma il letame e grave oggi vapora.

Vaniscono laggiù le zappatrici;
di qua l’aratro emerge per incanto,
34tra un pigolìo di passeri mendici.

Ma donde viene chiaro e dolce il canto
or della quaglia? È in fior lo spigo; tondo
37s’apre nei campi il fior dell’elïanto.

È sera forse? e dentro il ciel profondo
il crepuscolo indugia? e nel sereno
40canta la quaglia di tra il grano biondo?

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E pieno il prato è già di trilli, e pieno
il grano è già di lucciole, e su l’aie
43bianche s’esala il buon odor del fieno.

E no, ch’è l’alba: è sotto le grondaie
tutto un ciarlare. Sono intorno al nido
46le rondinelle, garrule massaie.

La casa dorme. Niuno ancor nel fido
bricco il caffè, nemico al sonno, infuse.
49Vola e rivola il mattutino strido

lungo le verdi persïane chiuse.


iii


Un torvo strillo di poiana... muta
solitudine... roccie irte, malvage...
53qualche cesto d’assenzio e di cicuta...

Il cielo sfuma in un rossor di brage.
Solo un torrente urlare odo: russare
56d’un ebbro in mezzo una sua muta strage.

E la poiana strilla. Ecco, mi appare
una rovina, una deserta chiesa,
59da cui te, solitario, odo cantare.

Canti come una dolce anima presa
da’ suoi ricordi, tu, dalla rovina,
62dove è già la pietosa edera ascesa,

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passero azzurro! O donde mai, vicina
cincia, m’inviti in vano a te? Da un orto
65rosso, cui cinge il bosso e l’albaspina.

Pendono rosse tra il fogliame smorto
le dolci mele, e ingiallano le pere.
68Nel mezzo un fico, nudo già, contorto.

E vi cantano cincie e capinere...
Ma no, sei tu che, immobile nel sole,
71canti, o calandra, sopra le brughiere.

E le tue voci pullulano sole
dal cielo azzurro, con virtù segreta,
74come veggenti limpide parole,

o grande su le brevi ali poeta!