Prose della volgar lingua/Libro terzo/LXII

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Terzo libro – capitolo LXII

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Leggesi Sovente, che è Spesso: di cui Guido Guinicelli ne fece nome, e Soventi ore disse in questi versi:

Che soventi ore mi fa varïare
di ghiaccio in foco, e d’ardente geloso;

e Guido Cavalcanti in quest’altri:

Che soventi ore mi dà pena tale
che poca parte lo cor vita sente.

Sí come di Spesso fecero Spess’ore comunemente quasi tutti quegli antichi; alla cui somiglianza disse A tutt’ore il Petrarca. Dicesi alcuna volta eziandio Soventemente; sí come si disse da Pietro Crescenzo: E questo faccia soventemente che puote, in vece di dire quanto spesso puote; sí come egli ancora, in vece di dir Secondo, disse Secondamente molte volte. È Al tempo, che vale quanto Al bisogno, et è del verso. Et è In tempo delle prose, che si dice piú toscanamente A bada, cioè A lunghezza e a perdimento di tempo: dalla qual voce s’è detto Badare, che è Aspettare, e alcuna volta Avere attenzione e Por mente. Et è Per tempo, che vuol dire A buona ora. È Da capo, che vale comunalmente quanto Un’altra volta; truovasi nondimeno detta ancora in luogo di dire Da principio. Et è A capo, che vale quanto A fine. È Da sezzo, che è Da ultimo, a cui si dà alcuna volta l’articolo e fassene Al da sezzo; da queste si forma il nome Sezzaio. Et è Alla fine, che medesimamente si disse dagli antichi Alla perfine e alcuna volta Alla finita.