Prose della volgar lingua/Libro terzo/LXXI

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Terzo libro – capitolo LXXI

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Dicesi Non la voce che niega; contraria di cui è Sí, che afferma; come che ella eziandio, in vece di Cosí, si ponga per chi vuole. La qual Cosí si disse ancora Cosifattamente nelle prose. Né solo in vece di Cosí, ma ancora in vece di Che, la pose il Boccaccio piú volte, per un cotal modo di parlare, che altro non è che vago e gentile: Il fante di Rinaldo, veggendolo assalire, sí come cattivo, niuna cosa al suo aiuto adoperò; ma, volto il cavallo sopra il quale era, non si ritenne di correre, sí fu a Castel Guiglielmo, in luogo di dire: non si ritenne di correre, che fu a Castel Guiglielmo; e ancora, Egli è la fantasima, della quale io ho avuta a queste notti la maggior paura che mai si avesse tale; ché, come io sentita l’ho, io ho messo il capo sotto, né mai ho avuto ardir di trarlo fuori, sí è stato dí chiaro. Nella qual maniera, Dante medesimamente piú volte nelle sue rime la pose, e altri antichi scrittori ancora nelle loro prose. E oltre acciò che la detta particella si pone ad un altro sentimento, condizionalmente parlandosi, in questa maniera: Se ti piace, sí ti piaccia; se non, sí te ne sta, dove si pare che ella adoperi quasi per un giugner forza al ragionamento; e ancora non condizionalmente, sí come la pose Giovan Villani: Ma per seguire suoi diletti massimamente in caccia, sí non disponea le sue virtú al reggimento del reame; e il Boccaccio che disse: Che se mio marito ti sentisse, pogniamo che altro male non ne seguisse, sí ne seguirebbe, che mai in pace né in riposo con lui viver potrei. Dicesi eziandio alcuna volta Sí, in atto di sdegno e di disprezzo, e di tutto il contrario di quello che noi diciamo: Sí, tu mi credi con tue carezze infinte lusingare.