Prose della volgar lingua/Libro terzo/XIII

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Terzo libro – capitolo XIII

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Ma passiamo a dire di quelle voci, che in vece di nomi si pongono, Io Tu e gli altri. De’ quali questi due, nel numero del meno e negli altri loro casi, perciò che a questa guisa detti sono nel primo, come che Io eziandio I’ si disse nel verso, ogni volta che eglino dinanzi al verbo si pongono, vicini e congiunti ad esso, né segno di caso o proponimento hanno seco alcuno, essi cosí si scrivono, Mi diede, Ti disse, finienti nella I; se dopo ’l verbo, medesimamente cosí, Diedemi, Dísseti, Amarmi, Onorarti. Il che si fa eziandio, qualora le voci che in vece di Lui e di Lei e di Loro si pongono, delle quali si dirà poi, giacciono tra ’l verbo e loro, Darlomi, Farloti, Darallemi, Farolleti. Perciò che qualunque volta elle giacciono dopo essi, eglino nella E se n’escon sempre, Darmelo, Fartelo e Sassel chi n’è cagion, che disse il Petrarca, e Tengasel bene a mente, e Facciasegli buoni esso, e somiglianti. Dopo ’l verbo dissi, e quando essi sotto l’accento del verbo si ristringono, né altra voce sotto quello accento medesimo si sta dopo essi. Con ciò sia cosa che quando essi altramente vi stanno, si scrive cosí e fannosi terminare nella E: Me la diè, Te gli tolse,

Ferir me di saetta in quello stato,

Conchiuse, te essere solo colui, nel quale la sua salute riposta sia,

Vommene in guisa d’orbo senza luce,

Io ci tornerò, e darottene tante, che io ti farò tristo. Quivi traponendosi messer Federigo: - E perché - disse - è egli, Giuliano, che in quel verso del Petrarca, che voi allegato ci avete, Ferir me di saetta, si convenga piú tosto il dire Ferir me, che Ferir mi? - Per questo - rispose il Magnifico - che io dissi che il Me ha l’accento sopra esso e non si regge da quello del verbo, e in Ferirmi il Mi non l’ha, ma da quello del verbo si regge. - Ora perché è egli - disse messer Federigo - che l’uno ha l’accento e l’altro non l’ha, come voi dite? - È perciò - rispose il Magnifico - che qualora ciò aviene, che si dica il Me o il Te di maniera che rispetto s’abbia ad altrui, di cui eziandio convenga dirsi, egli s’usa di por l’accento sopra essi in questa guisa, dal verbo un poco scostandogli e aspettandone quello che segue, sí come aviene nel detto verso:

Ferir me di saetta in quello stato.

Perciò che rispetto s’ha al Voi che segue, e s’aspetta ad udire:

A voi armata non mostrar pur l’arco.

Che se ciò non avesse avuto a dirsi, Ferirmi e non Ferir me si sarebbe detto. Sí come eziandio dal medesimo Petrarca in questi versi:

Diti schietti soavi a tempo ignudi
consente or voi, per arricchir me Amore,

s’è rispetto avuto al Voi con la voce Me; e però e’ disse Per arricchir me, e non Arricchirmi -.